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PATATE SU MARTE | The Martian | Un film di Ridley Scott, visto e recensito da Amedit

Creato il 26 dicembre 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

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PATATE SU MARTE

The Martian / Un film di Ridley Scott

di Elena De Santis

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Tratto dall’omonimo romanzo di Andy Weir (edito in Italia da Newton Compton con il titolo Sopravvissuto) The Martian ci proietta in un futuro non troppo lontano, quello dell’atterraggio a scopo perlustrativo e insediativo dell’uomo su Marte. Qualcosa va storto durante la spedizione, – sulla falsariga dei recenti film di fantascienza Interstellar e Gravity – una violenta tempesta di sabbia costringe l’astronave Hermes a far ritorno sulla Terra, e un membro dell’equipaggio Ares 3, creduto morto, rimane prigioniero sul pianeta rosso. Il sopravvissuto è Mark Watney (interpretato dall’aitante Matt Damon), un abile astronauta esperto anche in botanica (una specializzazione che si rivelerà provvidenziale oltre ogni immaginazione); pronto a tutto pur di non lasciarsi abbattere dalla rassegnazione, decide di mettere in atto una strategia estrema per prolungare il più possibile il suo imprevisto soggiorno marziano. Il film riflette sulle inesauribili risorse della creatività umana, capace anche nelle situazioni più disperate di azzardare un piano risolutivo, facendo appello tanto alla razionalità quanto all’istinto di sopravvivenza (e sfidando con audacia l’imprevedibilità degli eventi).

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L’uomo – solo su un pianeta tanto ostile quanto sconosciuto – pur sapendosi spacciato decide di non darsi per vinto e di tentare l’impossibile. Primo step: riesce con fatica a raggiungere un accampamento base (dotato di una riserva limitata di ossigeno, acqua e cibo) e ad automedicarsi una brutta ferita all’addome. Secondo step: relativamente al riparo nella tensostruttura della Nasa, comincia a cercare il modo per comunicare con la Terra, e impronta un rigido calendario per razionare le scarse riserve alimentari che trova in dispensa. Una partita di patate sottovuoto accende la più pionieristica delle fantasie che possa stuzzicare l’intraprendenza di un botanico: piantare patate su Marte! Qui verosimile e inverosimile si alternano e si sovrappongono sul filo della credibilità, ma va da sé che si tratta pur sempre di un film fantascientifico. Forte delle sue competenze agrarie il novello martian taglia i tuberi e li pianta in un piccolo orto circolare allestito in un’area della struttura; fertilizza l’arida terra rossa di Marte con escrementi umani e irrora il tutto sfruttando la reazione tra idrogeno e ossigeno. L’esperimento va a buon fine, e grazie a queste scorte di cibo supplementari l’astro-contadino vede prorogarsi la sua aspettativa di sopravvivenza. Ce la farà, qualcosa andrà storto, ma alla fine ce la farà. L’equipaggio dell’Ares 3, allertato dalla Nasa, farà marcia indietro e tornerà a riprenderlo (forse è proprio l’happy end da copione l’ingrediente più inverosimile, ma la storia intende premiare i lampi di genialità dell’intelligenza umana contro la fallibilità intrinseca delle tecnologie, pur se avanzate); laddove la macchina fallisce inesorabilmente, è lì che l’umana ratio può giocarsi ancora un’ultima carta, quel jolly che fa la differenza e che getta un oceano tra un cervello umano e un computer.

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La disco-music della colonna sonora – con I will survive di Gloria Gaynor sui titoli di coda – gioca coraggiosamente sui contrasti, sottolinea l’assurda unicità della situazione e rende la misura della distanza che separa i due pianeti; l’ironia caratterizza anche le battute del protagonista, che sdrammatizza di continuo con selfie e filmati per lenire la solitudine e attenuare la tensione. Il terrestre, aspirante marziano, fa di tutto per non calarsi nel ruolo dell’eremita, del naufrago cosmico, e concentra tutte le sue energie nell’attaccamento alla vita (anni di viaggio lo separano da casa, e sa bene che le scorte in suo possesso non sono infinite). La sceneggiatura, scritta da Drew Goddard, fa il pari con la colonna sonora e non offre nulla di particolarmente rilevante. Le immagini più belle del film sono quelle che mostrano il sopravvissuto di fronte agli immensi, desolati paesaggi marziani, il contrasto stridente tra il bianco lucido e metallico dello scafandro e le cromie rossastre e polverose  (sequenze brevi ma estremamente suggestive).

Sono questi scenari, insondati e misteriosi, incendiati dal rosso ferroso della terra, tra crateri, distese sabbiose e catene rocciose, – è Marte, in una parola, a fagocitare tutta la fascinazione – scenari ricostruiti sulla base delle immagini restituite di recente dai satelliti. Di sicuro avrebbero giovato al film meno primi piani di Matt Damon e più piani sequenza sui paesaggi marziani. Ottima prova registica per Ridley Scott, che già si era misurato col genere fantascientifico in pellicole come Alien (1979), Blade Runner (1982) e il più recente Prometheus (2012).

Elena De Santis


Cover Amedit n. 25 - Dicembre 2015

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“Célestine” by Iano

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