Il Vocabolario Zingarelli, la definisce come il «paese comune ai componenti di una nazione, cui essi si sentono legati come individui e come collettività, sia per nascita sia per motivi psicologici, storici, culturali e simili».
Il termine «patria» deriva dall’espressione latina terra patria, che in origine avrebbe designato eminentemente un vincolo giuridico-patrimoniale, ovvero la terra ereditata dai propri antenati.
I Romani ( che possiamo e dobbiamo considerare i nostri unici antenati, creatori e custodi di tutta la nostra civiltà) avevano dentro di se delle forti tradizioni e un grande attaccamento ai principi morali, la quale formazione è da ricondursi all’Età Arcaica ma che in parte si svilupparono fino alla Repubblica. I valori del popolo romano includevano sia virtù individuali che comunitarie, la società le perseguiva come un insieme
Ma è nel saluto di Namaziano a Roma, prima di ritornare in
Gallia, sua terra d’origine, che troviamo per la prima volta nella
storia della letteratura la parola “patria”:
“Fecisti patriam diversis gentibus unam;
profuit iniustis te dominante capi.
Dumque offers victis proprii consortia iuris,
urbem fecisti quod prius orbis erat”.
“Hai fatto una sola patria di popoli diversi;
fu un beneficio per gli incivili cadere sotto il tuo dominio.
E offrendo ai vinti la partecipazione al tuo diritto,
Hai reso città ciò che prima era mondo”.
Mentre il pensiero di Agostino si riferiva a più ad una patria celeste, nel medioevo il concetto viene rielaborato da comunità pagane facendo riferimento a vincoli di sangue.
Nella divina commedia Dante fa riferimento a una piccola patria con riferimento a scenari cittadini con feroci condanne ai traditori di patria.
Nel 15° e 17° secolo dagli atti notarili si evince che la nozione di patria e cittadinanza non sempre furono sovrapponibili, venivano ben identificati coloro che appartenevano alle file della mercatura internazionale magari provenienti da aree geografica diverse.
Ed ecco la patria come luogo natio nel quale ci si identifica sul piano genealogico e culturale.
Nelle culture contadine la patria è il villaggio di appartenenza mentre la nazione è percepita come un’entità lontana.
I teorici dello stato monarchico tentano di riavvicinare questi due concetti patria e nazione
L’osmosi tra questi due concetti (patria e nazione) si completa nell’età delle grandi rivoluzioni, da un lato quella francese (1789-99) che contrappose il regno (il potere monarchico) al binomio patria-nazione (i patrioti perseguirono l’obiettivo di abbattere il primo ed elevare il secondo, attraverso la nascita di una nuova nazione, patria di tutti i francesi), e d’altro canto la Rivoluzione americana, che implicò la rinuncia a ogni più antica idea di patria (la madrepatria inglese o i diversi territori d’origine dei coloni) e il varo di un originale modello politico, funzionale al governo di società complesse (un federalismo più evoluto di quello svizzero o olandese, cioè una «grande patria di Stati», non di cantoni o province). Nella definizione di Stati Uniti d’America, patria e nazione divennero concetti inscindibili, perché forgiati in uno stesso momento, per volontà del popolo americano.
Poi i regimi totalitari usarono la patria per costruirci un concetto di culto della patria, con una pregiudicata manipolazione della storia.
Dopo il secondo conflitto mondiale si è reso necessario il superamento della dimensione territoriale, ma dopo questo excursus storico del concetto di patria non poteva mancare il punto di vista di un non-europeo.
Infatti c’è una maniera ancora più spirituale di intendere la patria, che è propria dei popoli nativi – da noi chiamati, a lungo, «primitivi» o, addirittura, «selvaggi» -, ed è quella di identificarla con una modalità dello spirito, come un fatto essenzialmente religioso: certo legato ad un luogo fisico, ma non in senso giuridico-territoriale.
Il capo indiano Seattle, nel suo famoso discorso del 1887, dà una definizione di patria che evidenzia la differenza di concezione fra bianchi e indiani :
«C’è poco in comune tra noi. Le ceneri dei nostri antenati sono per noi sacre, e sacro è il luogo ove riposano; voi, invece, vi allontanate dalle tombe dei vostri padri apparentemente senza dolore…I vostri morti, non appena sono scesi nella tomba, cessano di amare voi e il luogo dove sono nati; presto dimenticati, se ne vanno lontano, oltre le stelle, da dove non ritornano mai più.
I nostri morti, invece, non dimenticano mai la terra meravigliosa che diede loro un giorno la vita ed continuano ad amare i fiumi sinuosi, le alte montagne, le valli solitarie; continuano a nutrire i sentimenti più teneri per coloro che vivono con il cuore ormai solo, e ritornano spesso per visitarli e consolarli…
Per il mio popolo, dunque, ogni porzione di questa terra è sacra: ogni pendio, ogni vallata, ogni pianura e ogni foresta sono santificati da un dolce ricordo o da un’esperienza dolorosa della mia tribù. Anche le rocce, apparentemente così mute sotto il sole cocente della costa, sono imbevute, nella loro solenne imponenza, del ricordo di eventi del passato legati al destino del mio popolo.
E persino la polvere reagisce con più amore ai nostri passi che non ai vostri: essa, infatti, non è che la cenere dei nostri antenati e i nostri piedi nudi avvertono questo contatto benevolo, poiché il terreno è reso fertile dalla vita delle nostre famiglie.»
In asia il concetto di patria è ancora un altra cosa con storia e tradizioni completamente diverse dalle nostre, es. in Cina , un popolo abituato per millenni a sentirsi al centro del mondo ha un senso patria molto forte, o l’India dove Gandhi è stato definito “padre della patria”.
Ma veniamo a noi, mi sono andato a leggere le proposte di legge per la concessione della cittadinanza agli stranieri, e si parla troppo di cittadinanza e poco di “patria” mi sembra evidente che molti stranieri non hanno niente di quanto accennava al capo indiano sopra menzionato e non tanto il sangue italiano, ma nemmeno la minima idea di cosa significhi integrazione , la conoscenza della lingua italiana e delle leggi del nostro paese.
Se non tutti gli italiani le conoscono e qualche volta ci lamentiamo che gli stranieri conoscono le leggi meglio di noi, non è una scusa per accettare nuovi cittadini che non sanno nulla delle nostre leggi.
Nelle ultime pagine dei quaderni di scuola delle elementari (quasi cinquanta anni fa) spesso avevo gli articoli della Costituzione, ora mi domando cosa sanno i nuovi stranieri delle leggi, conoscono la lingua italiana ? E le nostre leggi ? Si sono integrati con la popolazione locale ? Quanto partecipano ad es. a feste paesane , eventi sportivi , sagre o altro ?
Prima di tutto occorre che lo straniero VOGLIA DAVVERO diventare cittadino italiano e allora bisogna essere chiari e spiegargli cosa questo comporta.
Sapete che spesso non vogliono la cittadinanza in quanto la condizione di stranieri è migliore dal loro punto di vista economico ?
Ma avete capito bene ??? ho detto “economico” ! Se allora facciamo diventare cittadini per loro opportunità economiche o una-tantum dopo solo 5 anni, allora non ci abbiamo capito nulla, credo.