E' una reazione incontrollabile, istintiva, una di quelle cose che non puoi farci niente: le immagini sono lì, sepolte ma vivissime, e riemergono in superficie al solo contatto della pronuncia di quel nome.
Quando lunedì sera un twitter qualsiasi mi ha annunciato la morte del regista francese Patrice Chéreau, io non ho potuto fare a meno di rivedere una stazione di notte, il sud della Francia, il caldo appiccicoso dell'estate, e dei corpi di uomini che si cercano, si picchiano, si baciano, e poi la faccia spaurita e impressionabile di un giovanissimo Jean-Hugues Anglade accanto a quella virile, sicura e perentoria, di Vittorio Mezzogiorno.
Henri (Jean-Hugues Anglade) e Jean Lerman (Vittorio Mezzogiorno)
Dalle viscere del mio subconscio, intatte e perfette, sono riemerse con la stessa forza della prima volta che le ho viste le immagini di L'Homme BlesséIl film del 1983 scritto da Chéreau e Hervé Guibert, è una di quelle perle rare che ogni decennio per fortuna è in grado di produrre. Gli anni '80 (sempre siano lodati) erano anni in cui il concetto di politically correct ancora non esisteva, e uno come Chéreau si poteva permettere di impressionare e sconvolgere con la stessa naturalezza con cui respirava.
L'Homme Blessé è un film duro, di una crudezza nei modi, nei dialoghi, nelle sensazioni e nelle inquadrature, davvero impressionante, e allo stesso tempo aveva una forza, un'energia sovversiva vitale e spiazzante, che ti faceva pensare e capire tanti aspetti della vita che non erano spesso traducibili a parole. Chéreau era lontano dalle polemiche costruite a tavolino, era un uomo che ti sbatteva in faccia le sue ossessioni, le sue paure, le sue voglie, ma con un candore ed una sincerità tali che non potevi che crederci, immedesimarti, soffrire e poi rinascere con lui. Qui vorrei anche ricordare la bravura di un attore italiano, troppo spesso dimenticato, Vittorio Mezzogiorno, che altro che La Piovra! Mezzogiorno era un attore straordinario di cinema e teatro che recitava in perfetto inglese nel Mahabharata di Peter Brook e poi in perfetto francese in un film come questo, senza un attimo di esitazione, accettando una parte che, come minimo, il 98% dei suoi colleghi avrebbe rifiutato.
Onore al merito e alla memoria pure sua, allora.
L'altro film di Chéreau a cui non posso fare a meno di pensare è più recente: Intimacy, un film del 2001, basato sul romanzo dello scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi (santo subito pure lui, è lo sceneggiatore di My Beautiful Laundrette). Storia, anche in questo caso cruda e senza sconti, di un musicista di mezza età in crisi con la moglie e la vita di famiglia, che ogni settimana incontra una donna (di cui non sa nulla) per fare sesso.
Claire (Kerry Fox) e Jay (Mark Rylance)
Pochi hanno avuto la capacità, come Chéreau, di far vedere al cinema il sesso come qualcosa di così intimo, feroce, e necessario. Un veicolo vero ed infallibile per addentrarsi nella complessità e nella fragilità della natura umana. Chéreau filmava i corpi come se fossero dialoghi (certo era anche bravo a scegliersi i corpi, in questo caso quelli di Mark Rylance, attore inglese assolutamente eccezionale, e della fuoriclasse attrice australiana Kerry Fox), parlando una lingua che tutti possiamo capire, quella dei nostri bisogni più segreti ed estremi, e dunque più umani.Chéreau era intenso, integro, brutale, e necessario. Ci mancherà, eccome se ci mancherà.Questo è il post di Zazie n° 200, e sono molto felice di averlo dedicato a lui.Adieu, Patrice!