Ricordo ancora le mie estati da bambina, estati gialle, con le toppe irregolari di verde delle vigne. Qualche volta il verde era meno intenso, più sfumato per via delle chiome imponenti di certi grandi ulivi. Le coste alcamesi erano un tripudio di buganvillea o di belle di notte, cresciute spontaneamente nella terra mista a sabbia. L’inconfondibile odore di zagara, di calendula e di limonio completava un paesaggio che ancora oggi, a distanza di tanti anni, rimane fortemente impresso nella mia mente. Se solo provassi ad appoggiare un foglio sulla fronte mi risulterebbe facile anche ricalcarlo.
I colori erano stesi a casaccio sulla tavolozza del paesaggio; le molteplici tonalità del verde della campagna si fondevano con il giallo intenso dei grappoli sulle vigne e con il rosato del cielo al tramonto dopo una lunga giornata di vendemmia.
Ricordo le galline, le vacche, magre e immobili sulle stoppie vicino la fermata del treno, le canne sibilanti al minimo soffio di vento. Quando ero piccola non avrei mai immaginato che la terra potesse cambiare.
Oggi non sento l’odore di stalla, il raglio disperato dell’asino o il grugnire soddisfatto del maiale. Pure gli ulivi, per quanto maestosi, hanno assunto un’altra forma e le pecore sembrano tutte uguali, come fossero clonate.
I colori, oggi, sono ben allineati, ordinati, messi in righe dritte dritte.
Eppure esiste ancora, in un piccolo angolo di mondo, un luogo dove i colori si fondono, dove il verde della vigna si sfuma con le tonalità della terra, dove, quasi una magia, se piove lo riesci ad avvertire prima di tutto grazie al tuo naso: si chiama Patti Piccolo o Pattilupicciolo come veniva pronunziato dalla voce del nonno. Un territorio che poco ha conosciuto la mano dell’uomo, o forse quella mano, la mano del nonno, è stata una mano rispettosa nei confronti di una terra che da generazioni accompagna la vita della mia famiglia. Un ecosistema unico, quello delle colline alcamesi, in grado di mettere al mondo vini sani che nascono dall’amore per il territorio, dalla profonda conoscenza per le vigne coltivate con il metodo dell’agricoltura biologica. Il paesaggio è sempre lo stesso, gli stessi profumi e sapori, gli alberi sono solo più grandi, le vigne un po’ pìù mature.
Il periodo della vendemmia non è propriamente una festa quanto piuttosto un’attività faticosa che richiede esperienza anche nella scelta del momento più giusto per procedere al taglio del grappolo. Ed è in quel momento che l’uva termina la propria vita di frutto e rinasce immediatamente perché inizia il cammino dell’acino per trasformarsi in vino. Bello. Rassicurante. Suggestivo.
I buoni vini si fanno nella vigna. Questo concetto è valido per tutti i vini ma lo è di più per la coltivazione biologica della vite. Così facendo, infatti, si restituisce il vino alla natura, lasciando che sia l’uva, entro certi limiti, a fare il proprio corso. Una viticultura in simbiosi con l’ambiente è l’unica in grado di offrire ai consumatori la massima espressione del territorio e ancora oggi in grado di sorprendere e di trasmettere emozioni. Una rivoluzione, quella biologica, che mira a ristabilire un rapporto originario e quasi selvaggio tra la vigna, il territorio e la tradizione.
Il tutto per permettere al vino di rappresentare – pregi e difetti – soltanto quello che è: l’espressione più nobile di un territorio unico e a suo modo irripetibile.
Ritrovare in un bicchiere un paesaggio, magari proprio quello della tua infanzia, con le toppe irregolari di verde delle vigne, chiudere gli occhi e riscoprire gli odori di zagara, calendula e limonio…No, non è cosa di tutti i giorni.