Voglia di mare e di vacanze? Chiudete gli occhi e immaginate gli atolli della Polinesia Francese, un’amaca, la sabbia finissima, le palme, un Mojito e le ballerine di Hula. Troppo sforzo, vero? Beh, é per questo che dovete concedervi cinque minuti della vostra frenetica giornata (meglio se non siete al lavoro perché magari al capo girano i cinque minuti e…arrivederci ferie) per incantarvi davanti a una delle più belle tele del periodo tahitiano di Paul Gauguin, un uomo, a ben vedere, in vacanza per una vita intera, ma che conobbe l’infelicità da giovanissimo e che cercò, invano, la felicità di porto in porto morendo solo, soffocato dal suo mal di vivere.
La biografia di Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Hiva Oa, 1903) si può sintetizzare (e non a caso, perchè lui amava la sintesi) in una manciata di parole: ribellione, viaggio, mare, esterofilia, ricerca del Paradiso Terrestre, Tahiti.
Gauguin trascorse la sua infanzia in Perù, la terra dei nonni materni, lontano dalla Francia, la madrepatria, dove si era trasferito dopo la morte prematura del padre avvenuta su un piroscafo. Durante la sua adolescenza, dapprima, lavorò come pilota marinaio apprendista e, poi, non stanco di stare per mare, si arruolò nella Marina Militare. Sembra essersi stancato di fare l’Ulisse dei poveri, quando, a 25 anni, si sposa con una dama di compagnia danese con la quale metterà al mondo cinque figli. Anche il suo lavoro, quello di agente di cambio in Borsa a Parigi, é stabile ed é proprio in questo periodo statico che comincia a dipingere nel tempo libero. La pittura, ciò nonostante, non fu un’illuminazione poiché l’estro creativo l’aveva ereditato dai nonni materni, un incisore e una scrittrice, e dal padre giornalista.
Dieci anni dopo, a causa di un’ingente crisi economica, Gauguin perse il lavoro e anche la voglia di rimanere attraccato al porto e, ovviamente, alla famiglia. Così, si trasferì a Pont Aven, in Bretagna, per mischiarsi con la gente di borgata e, in seguito, ad Arles assieme a V. Van Gogh (la persona più adatta con la quale condividere un periodo di frustrazione!!!). Tuttavia, il vero cambiamento di rotta nella vita dell’artista é Tahiti. L’uomo vendette tutti i suoi averi per trasferirsi lì, lontano dalla Francia, dall’Europa e dalla snob-society. Morì proprio in questa colonia francese, disperato, stanco, malato e incarcerato per essersi opposto alla politica razzista del Governatore.
Il suo non fu un lieto fine, ma Tahiti era stata davvero la svolta per lui. Era stata cercare l’Eden ed averlo trovato. Quella era la terra dei colori favolosi, la terra infuocata, ma raccolta e silenziosa. Era la patria di un’umanità non ancora corrotta, fresca e selvaggia. Era il luogo per ritornare a respirare al riparo degli schemi della società moderna. Gauguin visse due anni a Tahiti in una capanna con vista sull’Oceano, poi, accortosi di essere quasi al verde, ritornò a Parigi per racimolare qualche franco svendendo le sue opere e per poter ritornare lì per sempre.
Si sarebbe in difetto, però, se non si dicesse che Tahiti, per Gauguin, fu soprattutto l’amore. Le donne tahitiane erano belle perché non erano levigate, erano diamanti grezzi, sicure e forti. erano più donne di quelle incipriate e dritte nei loro bustini, erano più sensuali, ammalianti come solo le donne vere sanno essere davanti a un uomo. Fu durante i suoi primi due anni sull’isola che Gauguin conobbe Tehura, una bambina tredicenne figlia di una famiglia indigena benestante. Agli occhi del pittore Tehura é incantevole, ma mentre lui é quasi spaventato da lei, lei non ha paura di lui. “Hai paura di me?” – “No”. “Vuoi venire nella mia capanna per sempre?” – “Sì”: é questo l’inizio della loro esotica follia d’amore. Pur essendo educata ed obbediente, Tehura é già una donna indipendente e, anche se é giovane e spensierata, sa essere sensuale: per questo l’atrista diventa ben presto un libro aperto per lei. Gauguin le diceva “ti amo” e lei sorrideva perché lo sapeva già benissimo. Erano una coppia semplice, come adamo ed eva, complici ed amanti che non conoscono giorni, ore, bene o male. Peccato, però, che questa non sia una favola e che Tehura, sebbene determinata nel domare uno spirito che non poteva rimanere fermo, ebbe la peggio. Gauguin, che non aveva ancora divorziato dalla moglie, la abbandonò con un bimbo di un mese per tornare a Parigi.
Difficile non riconoscere un gauguin tra tanti quadri. Non potrebbero sfuggirci le campiture piane (colorazione senza sfumature) ispirate alla pittura giapponese (molto di moda ai tempi) in giallo, rosso, blu (mai in accostamenti complementari) e il cloisonnisme, tecnica che consiste nell’applicare alle macchie di colore un contorno nero in imitazione delle vetrate gotiche.
Perciò, il marchio di fabbrica dell’atelier Gauguin, pittore per hobby, é l’antinaturalismo. La sua è una pittura piatta , senza dimensioni, dai colori soggettivi e innaturali: Gauguin dice che bisogna dipingere come si percepisce e non come si vede. Ed é così che, con lui, si passa dal concetto dell’Impressionismo a quello del Sintetismo: l’arte é un richiamo all’essenzialità, alla vera essenza, alla sintesi senza complicazioni. Sarà per questo motivo che gli artisti che seguiranno le orme di Gauguin (p.e. V. Van Gogh, P. Cézanne e G. Seurat) verranno catalogati come postimpressionisti, fautori di una pittura che può far a meno dell’illusiome e della verosomiglianza e che, come interpretazione del reale, é soggettiva ed emotiva (Nell’Espressionismo non ci sarà più traccia del reale e rimarrà solo il sentimento).
La tela (“Aha oe feii?“, 1892, olio su tela, 68 x 92 cm, Ermitage, San Pietroburgo), realizzata in un periodo di transizione, in quanto Gauguin aveva tentato da poco il suicidio, é stata dipinta a memoria e l’artista la considera il suo capolavoro.
La scena ha solo valori strettamente pittorici perché é una scena come tante. Non vuole testimoniare nulla e non ha significati intrinseci o messaggi forti, ma, a parer mio, é molto più sacra di mille natività (per questo sarebbe una di quelle opere che metterei al capezzale!).
La composizione, semplicissima, é descrittiva di due sorelle che, dopo il bagno, parlano di amori di ieri, progetti di amori futuri e un ricordo le divide. La struttura del quadro é, appunto, studiata sul dualismo delle due ragazze: una é all’ombra e l’altra e al sole, le loro teste sono a due estremi della stessa direzione, una ha un perizoma rosso e l’altra una veste rossa, eppure, i loro corpi sono fusi uno con l’altro come lo Yin e lo Yang, parti fondamentali e opposte del tutto.
Questo chiaro rimando alle origini, al primordiale, é sottolineato dalle sagome abbozzate, sintetiche, delle due giovani donne e dall’antinaturalismo degli scintillii dell’acqua resi con chiazze di colore. Questo perchè la soggettività è qualcosa che é in mente e non esiste, ma la possiamo esprimere davvero.
Queste due ragazze innamorate, indolenti di giorno e tenebrose la notte, sono anche simbolo di estasi, d’ebbrezza d’amore e, non a caso, la seconda fanciulla ricorda una dea greca già vista in un fregio del Teatro di Dioniso, il dio del vino e delle orgie, ad Atene. Sembra quasi di viverla questa scena, il caldo dei meriggi d’estate e il cicalare, unico custode dei segreti delle ragazzine. Una scena che non è altro che un muto colloquio enigmatico privo di causa e conseguenza e che, così, investe anche una certa carica erotica perché noi spettatori, come Gauguin, spiamo senza essere visti.
A tale proposito, é da sottolineare che il titolo, in realtà, tradotto dal tahitiano, significa “Per che cosa porti rancore?”, ma Gauguin sceglie di mantenere l’errore del vocabolario Jaussen perché, di fatto, così é più malizioso. La gelosia, infatti, comporta un certo di tipo di sentimenti istintivi, mentre il rancore é molto più legato alla morale. Gauguin voleva dipingere due confidenti slegate dal pudore, libere e senza segreti.
Per uno che ha girato il mondo e si é fermato su una capanna sull’Oceano, certo che Gauguin ne aveva di grilli per la testa! I suoi temi prediletti sono quelli della Storia della Filosofia.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
Siamo stati dei giovani, quando, nella migliore parte della nostra esistenza, potevamo ancora scegliere di cogliere il frutto più succulento, siamo diventati vecchi, stanchi e rassegnati tra rimorsi e rimpianti. La vita é un navigare tra domande senza risposta: é questo che angoscia Gauguin, eppure lui non ha mai smesso di credere e di sognare.
“Non dipingete troppo dal vero. L’arte é un’astrazione: traetela dalla Natura sognando davanti ad essa e pensate piuttosto alla creazione che ne risulterà. E’ il solo mezzo per salire verso Dio, facendo come il nostro Divino Maestro: creare.” P. Gauguin