Magazine Cultura
Chi mi legge o semplicemente mi conosce sa che sono un irriducibile rollingstoniano e non mi sono mai sperticato in lodi verso i Beatles ma la vita non sarebbe così interessante se le sorprese ad un certo punto non scombussolassero il certo ed il prevedibile tanto da portarmi ad affermare che uno dei concerti migliori a cui ho assistito in questo 2011 è stato quello di Paul McCartney a Milano domenica 27 novembre. Un concerto memorabile, per me inaspettato a cui ho assistito grazie al favore di un amica che mi ha offerto un biglietto deluxe nel primo anello numerato del Forum di Assago. Pubblico numeroso, festoso e caldo e tanti giovani hanno fatto da corollario ad uno show sontuoso dove pop, rock, Beatles, canzoni, flash psichedelici e ballate hanno immortalato un musicista e cantante e showman divertente, gioioso, spiritoso, professionale e trascinante al tempo stesso, un grande artista. Paul McCartney sul palco mi è parso un gigante, splendido cantante in possesso di una voce ancora fresca pur irrobustita dal tempo e dall’esperienza, versatile nelle interpretazioni sia che fossero le arcinote canzoni dei Beatles sia che fosse il bizzarro e leggero pop degli Wings, sia che fossero degli sketch creati con la chitarra acustica (un mini set all’interno dello show) sia che le splendide immagini che scorrevano sullo schermo alle spalle della band facessero da scenografia ad una musica che fluttuava tra ricordi di un passato diventato storia di tutti, fantasie psichedeliche, lampi di genio e graffi di puro rock n’roll.
Il quartetto che ha assecondato Macca in questo On The Run tour, una band con lui da diverso tempo, si è rivelato un gagliardo combo all’insegna di un rock senza fronzoli, con due chitarristi (Brian Ray e Rusty Anderson) capaci di mordere e creare un sound a tratti spudoratamente chitarristico, un bravissimo batterista (l’imponente Abe Laboriel Jr.) ed un tastierista che ha fatto il suo dovere, musicisti in grado di offrire a Macca la soluzione giusta a seconda del pezzo. Lui, il baronetto, giacca stretta e stivaletti alla Beatles, poi in elegante camicia bianca sormontata da strette bretelle, ha sfoggiato il suo inconfondibile basso Hofner Ignition ma ha anche imbracciato chitarre elettriche, acustiche, l’ukulele nell’intro di una toccante e commovente Something dedicata all’amico scomparso George Harrison e si è seduto al piano per accompagnare alcune delle memorabili melodie che hanno segnato parte della musica moderna.
Pimpante, allegro, in perfetta forma, McCartney è parso un ragazzino per come ha condotto lo show e si è dato al pubblico alternando brani dei Wings (Junior’s Farm,Jet, Let Me Roll It contenente una citazione di Foxy Lady di Hendrix, Mrs Vandebielt, la strepitosa Band On The Run ed una infuocata Live and Let Die bombardata da fiammate che hanno trasformato il palco in un campo di battaglia), scampoli dei suoi dischi solisti e quell’incommensurabile patrimonio musicale che è il songbook dei Beatles. E sono stati proprio questi i pezzi ad accendere lo show ed il pubblico, senza mai suonare troppo nostalgici. Belli i momenti più dolci, malinconici e contemplativi come All My Loving, The Long and Winding Road arricchita di immagini di scenari dell’ovest americano, Eleanor Rigby, Yesterday, The Night Before, Something, Let It Be e Hey Jude queste due ultime accompagnate dal canto di tutto il Forum, sia nel siparietto socio-politico di Blackbird o nella scanzonata e frivola Ob-La-Di,Ob-La-Da una canzone che ho sempre detestato, sia nei pezzi di più stretta parentela rock come una esaltante versione di Drive My Car , nelle sferzanti Helter Skelter e Back In The Ussr e nelle divertenti e scoppiettanti Day Tripper, Paperback Writer e Get Back usate nel primo dei due encore dello show. Paul McCartney non ha dimenticato il compagno John, a lui è andata Here Today e poi dal fardello di Lennon ha estratto All You Need Is Love appiccicandola a She loves You e Give Peace A Change ad una strepitosa A Day In The Life, altro momento topico dello show. La magica notte era cominciata con Hello, Goodbye, primo dei trentacinque brani esibiti per una durata complessiva di quasi tre ore di musica senza interruzioni. Il finale lo si è avuto con la medley di Golden Slumbers/Carry The Weight/The End direttamente presa da Abbey Road. Prima della fine anche un numero squisitamente rollingstoniano, una versione di I’ve Got a Feeling capace di resuscitare anche i morti.
Un concerto come se ne vedono pochi. Parola di un rollingstoniano e non mi sono bevuto il cervello.
MAURO ZAMBELLINI NOVEMBRE 2011
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