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paura, angoscia e coraggio

Da Davide

PAURA

  

La paura ha differenti gradi
di intensità a seconda del soggetto: persone che vivono intensi stati di paura
hanno sovente atteggiamenti irrazionali. La paura come l’Ira è una
risposta al dolore o alla sua percezione: nella paura l’eccitazione si ritira
(nella nuca), mentre nella rabbia si dirige verso la fonte del dolore, sia questo
reale o immateriale. Se un individuo impaurito è costretto ad attaccare si
arrabbia e non ha più paura. In tal senso alcuni atteggiamenti derivanti dagli
stati di paura possono essere considerati pericolosi, quando si tramutano in
rabbia. La paura può essere descritta con termini differenti a seconda del suo
grado di intensità:

  • Timore
  • Ansia
  • Paura
  • Panico
  • Terrore
    (fonte: wikypedia, img. da Charls Darwin).

ANGOSCIA

BARRIERE MENTALI
E  CHIUSURE RELAZIONALI

“Con il termine angoscia non intendiamo quell’ansietà assai frequente che in fondo fa parte di quel senso di paura che insorge fin troppo facilmente. L’angoscia è
fondamentalmente diversa dalla paura. Noi abbiamo paura sempre di questo o di
quell’ente determinato, che in questo o in quel determinato riguardo ci
minaccia. La paura di…è sempre anche paura per qualcosa di determinato.
Nell’angoscia, noi diciamo, uno è spaesato. Ma dinanzi a che cosa v’è lo
spaesamento e cosa vuol dire quell’uno? Non possiamo dire dinanzi a che cosa
uno è spaesato, perché lo è nell’insieme. Tutte le cose e noi stessi affondiamo
in una sorta di indifferenza. Questo, tuttavia, non nel senso che le cose si
dileguino, ma nel senso che nel loro allontanarsi come tale le cose si
rivolgono a noi. Questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità, che
nell’angoscia ci assedia, ci opprime. Non rimane nessun sostegno. Nel
dileguarsi dell’ente, rimane soltanto e ci soprassale questo nessuno.
L’angoscia rivela il niente. Che l’angoscia sveli il niente, l’uomo stesso lo
attesta non appena l’angoscia se n’è andata. Nella luminosità dello sguardo
sorretto dal ricordo ancora fresco, dobbiamo dire: ciò di cui e per cui ci
angosciavamo non era “propriamente” – niente. In effetti il niente
stesso, in quanto tale, era presente”.

Heidegger, M. Che cos’è la metafisica? (1929) Milano: Adelphi, 1987.

Nell’essere umani, organismi
animali umani, ci ritroviamo a condividere alcune condizioni esistenziali
fondamentali: una di queste è la dipendenza nel processo di crescita e la
fatica-sofferenza nel processo di separazione-individuazione, ovvero il
superamento della dipendenza dall’ambiente di cura-apprendimento-crescita.

Le relazioni primarie danno forma
agli stili relazionali, modelli operativi interni secondo Bolwby o modelli
relazionali di base per Salonia, non importa; ciò che interessa è invece la
qualità di questi rapporti.

Nella mia esperienza
professionale ho appreso che nel caso di nascita di cucciolo con disabilità, il
rapporto di dipendenza dura più tempo ed è caratterizzato da maggiori intensità
affettive: le paure correlate alla non autosufficienza, le frustrazioni per le
problematiche quotidiane, i conflitti in merito alle responsabilità dei disagi
connessi alla situazione esistenziale per il nucleo familiare etc.

Tutto questo fa vivere alla
persona in crescita una particolare forma di preoccupazione: “sono la fonte del
disagio di chi mi vuole bene, sono preoccupante, frustrante, spaventoso,
irritante, pesante etc.”

Detto per inciso, tutto questo
passa già a livello inter-corporeo, prima ancora dei livelli relazionali
interpersonale ed intersoggettivo.

Nel campo della doppie diagnosi,
innesti psicotici in deficit neurologico, ho scoperto questo fenomeno che mi ha
illuminato rispetto il complesso e discusso tema delle barriere culturali nelle
aree della salute mentale e delle disabilità: la paura del diverso innesca
delle chiusure relazionali, delle lontananze, che esitano in fratture affettive
nelle quali ci si aggrappa disperatamente. È angosciante percepirsi come la
fonte della fatica-sofferenza-paura-disagio-ansia di chi ci sta di fronte,
ancor più quando questi è il riferimento per la nostra crescita. Gli istituti,
i manicomi, servivano appunto per esorcizzare le paure della popolazione e
contenere le angosce dei pazienti.

Dopo trent’anni di processo di
deistitutuzionalizzaione rimangono critiche le questioni inerenti le barriere
mentali (pregiudizi, generalizzazioni, categorizzazioni etc.) e le chiusure
relazionali (rifiuto, semplificazione-riduzionismo,  indifferenza etc.).

Secondo la mia esperienza, quando
l’altro da sé, opportunità di crescita nel senso di trascendenza di
intenzionalità (vado oltre quello che sono già proprio grazie l’andare verso
quello che non è me) spaventa la relazione si ammala e di conseguenza le difese
cominciano ad alzare barriere di diversa natura.

Il coraggio è l’antidoto alla
paura.

Fare esperienza, conoscere e
cogliere il valore della divergenza è l’orizzonte di sviluppo di una rete di
servizi alla persona capace di integrazione, inclusione ma soprattutto
valorizzazione della differenza.

Come la paura comporta nell’altro
angoscia, così il coraggio crea intraprendenza.

Non si può insegnare, ma
dimostrare, dare l’esempio, portare testimonianza.

“imparare significa scoprire che
qualcosa era possibile, insegnare significa mostrare che qualcosa era possibile”.
F. Perls.

Per questo il coraggio va
trasmesso attraverso atti di coraggio: ascoltare è coraggioso, permettere e
dare potere a chi è in condizioni di sofferenza è coraggioso, lasciar sbagliare
e sostenere il miglioramento è coraggioso, chiedere scusa ed ammettere l’errore
è coraggioso, tirarsi in parte e lasciar essere è coraggioso, non alzare la
voce è coraggioso, non prevaricare è coraggioso, interessarsi è un atto di
coraggio ….

“È
possibile pensare ad un rapporto individuo-società che non si risolva in un
sacrificio della creatività dell’individuo né in un’anarchia caotica? È possibile che la società accolga la
genuina divergenza dell’individuo e che la usi per crescere?

In particolare, i portatori di disagio
psichico grave, questi piccoli mondi che nel loro urlo di dolore mettono in
questione tutto il campo delle relazioni umane, da quelle familiari a quelle
dei peer groups, a quelle che regolano la logica spietata delle ‘normali’
relazioni sociali in cui il diverso dà fastidio, in cui la massificazione
diplomatica è la regola che conduce allo split tra io intimo e io sociale;
questi piccoli mondi sono per noi preziosi scrigni che contengono una bellezza
tutta da costruire nella sua dimensione interpersonale. E nel percorrere l’esperienza maieutica di una grazia che avviene nella
relazione, anche noi restiamo benedetti da questa grazia
.”
(Spagnuolo Lobb, 2001 pag. 9-10.) .


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