Pazuzu - Ali sull'abisso di Danilo Arona 1° parte 1. «... afferrai le cartelle di sinistra e le aprii sulla scrivania. L'antichità con i primi demoni della storia umana, scaturiti dalla tradizione sumera e da quella babilonese. Mi soffermai su una delle principali creature di questa mitologia: Pazuzu, di origine assira, signore delle febbri e dei flagelli. Ai tempi dell'università avevo seguito un corso di demonologia. Conoscevo quel mostro, con le sue quattro ali, la testa di pipistrello e la coda di scorpione. Personificava i venti malefici, portatori di malattie e infermità. Osservai il suo grugno rincagnato, i denti caotici. Aveva ispirato secoli e secoli di tradizione diabolica. E quando si girava un film importante sul diavolo, come L'esorcista di William Friedkin, era ancora Pazuzu, angelo nero dei quattro venti, che veniva riesumato dalle sabbie dell'Iraq.»
Danilo Arona
Non è William Peter Blatty che scrive. E neppure Danilo Arona che, per quanto riportato con fisiologica ironia in questa sede, ha di fatto scritto su Pazuzu più di chiunque altro a sua conoscenza(1). E' invece un passo di un romanzo, tra i tanti, del più attento “Rabdomante del Male” francese, Jean-Christophe Grangé, autore del celeberrimo I fiumi di porpora e i cui testi, solo in apparenza polizieschi, sono sempre percorsi in sottotraccia da un brivido metafisico profondamente horror. Non fa eccezione, anzi scava nel demoniaco più degli altri, l'adrenalinico Le serment des limbes (2), serratissima indagine sul Male e sul satanismo durante la quale il ghigno di Pazuzu torna più volte a tormentare i sonni (e la veglia) del protagonista io narrante. Se vogliamo, data la qualità della fonte, quella di Grangé è la consacrazione quasi definitiva di un'icona, spesso nemmeno “chiamata per nome”, dell'immaginario gotico contemporaneo. Allora, andiamo a conoscere l'Avversario come si deve.2. Pazuzu (IX-VIII secolo a.C.). Demone alato, temuto e venerato dal popolo dell’antica Mesopotamia, raffigurato con testa tozza e deforme, occhi sporgenti, con quattro ali che a volte sono raffigurate come quelle dell’aquila e in altre immagini come ali da pipistrello, il corpo al contempo umano e rettiloide ricoperto di piume e di scaglie, artigli taglienti alle mani e ai piedi, la coda di uno scorpione in grado d’inoculare il tifo, e il pene con la testa di serpente sovrastante decomposti genitali. E’ più grande di un toro ed è la personificazione del vento di sud-ovest, “signore dei demoni del vento malefico”, che porta la tempesta, la febbre, il freddo e non poche malattie, nonché l’espressione simbolica più appropriata di una visione del mondo, dolorosamente sconnessa, rigurgitante di divinità ostili da placare e da tenere a bada. E’ stato chiamato anche “Colui che reca la pestilenza”. Questa una delle più efficaci descrizioni del demone, risalente al 1902, uscita dalla penna del grande assiriologo francese Charles Fossey, che ne rimase profondamente colpito dopo averlo visto al Museo del Louvre durante una visita avvenuta l’anno precedente: «Un’incisione impressa lungo i reni c’informa che costui è il demone del vento del sud-ovest, vento che per la Mesopotamia era bruciante e dannosissimo. Non si è mai visto nulla di più raccapricciante di questa testa all’apparenza umana, tutta contorta e grinzosa che sembra quella di uno scheletro: i suoi grossi occhi d’uccello e le sue corna di capra aumentano la sua deformità. Magro e scarnificato, con qualche accenno di pelo sul fianco destro, il corpo assomiglia più a quello del pipistrello che a quello dell’uomo. All’estremità delle braccia, le mani, larghe e piatte, con dita corte, sembrano unghie gigantesche. I piedi sono gli artigli di un uccello predatore. Il mostro è in piedi. Ritto sulle zampe posteriori, il mostro pare volersi lanciare oltre il vetro dal quale è protetto, La bestia è munita di quattro ali. Il suo pene sembra l’immonda testa di un rettile.» (3)
3. Blatty e Friedkin
Il 1974 è l’anno d’uscita di un film che fa parte del costume e della storia del cinema, L’esorcista, diretto da William Friedkin e tratto da un romanzo di William Peter Blatty, che ne cura anche la sceneggiatura. E’ il film che fa conoscere al mondo l’immagine del demone Pazuzu, anche se va rilevato che, solo integrando la visione cinematografica con la lettura del libro, si possono scoprire le generalità del mostro, visto che sullo schermo il suo nome non viene mai pronunciato. Riassumiamo brevemente l'inquietante preambolo, servendoci dell’impeccabile abstract che ne fa Daniela Catelli: (4)
«Iraq del Nord. In un sito archeologico vicino a Ninive, è dissotterrata una statuetta rappresentante il volto di un antico demone. Curiosamente, l’effigie, risalente all’epoca precristiana, è ritrovata assieme ad una medaglietta di San Giuseppe. Padre Lankester Merrin, un anziano sacerdote Gesuita che è uno degli archeologi impegnati nello scavo, rimane colpito dalla strana coincidenza, che gli appare funesto presagio di qualcosa di terribile che sta per accadere. L’uomo è malato di cuore, come vediamo dalle pillole di nitroglicerina che inghiotte più tardi, nella caotica, assolata e affollatissima Mosul. Mentre si congeda dal sovrintendente agli scavi, dopo aver di nuovo osservato l’amuleto del demone, questi pronuncia la frase “il male contro il male”, in conseguenza della quale la pendola sembra fermarsi all’improvviso. L’aria si fa pesante come l’atmosfera prima di una tempesta. L’uomo gli esprime il proprio rammarico per la sua partenza: “C’è qualcosa che devo fare”, gli spiega padre Merrin. Prima di ripartire, il sacerdote torna al luogo degli scavi, dove si arrampica su una roccia, a fronteggiare una gigantesca statua del demone, quasi in segno di sfida, mentre il vento infuria e due cani si azzuffano nelle vicinanze.» Certamente vien da chiedersi perché, tra migliaia di demoni, Blatty abbia scelto quale “demone invasore” proprio Pazuzu. Ma Blatty, coltissimo sceneggiatore formatosi all’Università di Georgetown sotto la guida dei padri Gesuiti, è di origini libanesi e il Libano non è poi così distante, soprattutto culturalmente, dall’Iraq. E, comunque, il destino gli ha dato una mano, come lui stesso ricorda :(5)
«Durante gli anni Sessanta mi trovavo in Libano, dove lavoravo per l’Information Service degli Stati Uniti, e dovetti recarmi a Mosul per raccogliere del materiale per un settimanale che si chiamava The News Review. Alla fine del mio incarico, mi ritrovai con parecchie ore da trascorrere in attesa dell’Orient Express che doveva riportarmi a Baghdad e andai a visitare un sito archeologico, dove vidi degli operai caricare con un montacarichi una figura umanoide grande più o meno come la statua di Pazuzu nel film e trascorsi la giornata a rimuginare su cos’avrei potuto scriverne in merito. Così, quando cominciai ad accumulare elementi per il romanzo, scoprii la foto di una statuetta di Pazuzu in un libro di saggi sul demonio intitolato Satana e scritto dall’ordine cattolico dei Padri del Deserto. Pensai allora di usarlo, esclusivamente nella mia mente s’intende, come il demonio che fronteggia Merrin in un precedente esorcismo in Africa e che ritorna a combatterlo di nuovo ne L’esorcista.» Paiono interessanti anche altri due fatti. Alla fine degli anni Sessanta, gli editori che avevano da poco acquistato il libro (che peraltro Blatty doveva ancora scrivere), gli chiesero, sulla base di un preliminare e succinto colloquio avuto con lo scrittore, di rinunciare al prologo in Iraq. Blatty si oppose strenuamente, giudicandolo il pilastro della storia. Pochi anni dopo, quando la Warner Bros acquistò il copione, pervenne dalla produzione una nuova richiesta per eliminare l’incipit in Medio Oriente, ma Blatty si oppose ancora con decisione. La sua fermezza al riguardo fu sposata totalmente dal regista Friedkin, nel frattempo innamoratosi della storia e assolutamente convinto dell’importanza di quei presaghi otto minuti di pellicola. Ancora Daniela Catelli:
«Friedkin, per un film costruito su una serie infinita di echi, riverberi, paralleli e premonizioni, riteneva essenziale il preambolo in Iraq, una sequenza che dà il substrato mitologico a tutta la faccenda, dicendoci in otto mirabili minuti che stiamo per assistere a una battaglia antica quanto l’umanità stessa, e che dalle viscere della terra si è appena liberata una minaccia in grado di sorvolare il tempo e lo spazio e di stravolgere con la sua incongrua presenza la vita di gente ignara e normale. Fu così che Friedkin, il direttore della fotografia Billy Williams, il direttore di produzione William Kaplan e altri membri della troupe tra cui Dick Smith, partirono assieme a Max Von Sydow per un paese all’epoca fortemente instabile (e in guerra su tutti i confini, con l’Iran, la Siria e il Kuwait), e le cui condizioni climatiche, a causa del dilatarsi delle riprese, erano ormai ai limiti dell’impraticabilità. La permanenza sul suolo irakeno durò quasi due mesi, fino al 15 luglio, e le riprese si prolungarono a causa di un tentato - e fallito - colpo di stato contro il dittatore Said Ahmed Hasan al-Bakr, che costrinse la troupe a un paio di giorni di prudente attesa prima di vedere l’evolversi degli eventi, e del ritardato arrivo della statua di Pazuzu da Los Angeles, erroneamente recapitata ad Hong Kong e consegnata dopo tre settimane. Le riprese ebbero luogo a Mosul, nell’Iraq del Nord, sul luogo di un vero scavo presieduto da archeologi tedeschi, Hatra, una città i cui centomila abitanti furono tutti uccisi e le cui statue furono decapitate da un popolo invasore attorno al 30 a. C. Friedkin racconta la vista singolare di tutte queste statue che venivano ritrovate senza testa. Le location erano altamente suggestive: si girava nelle vicinanze della tomba di Nabuccodonosor, il grande re della Mesopotamia, costruita su quello che si dice il luogo di sepoltura del profeta Giona, mentre la statuetta vera cui s’ispira quella di Pazuzu era conservata nel museo locale.» Non può non colpire l’ostinata pervicacia con cui Friedkin e Blatty vogliono che il preambolo irakeno abbia da essere girato a Mosul, laddove esiste un’autentica statuetta di Pazuzu, riemersa dalle sabbie a metà del 1800. E’ singolare, lasciatecelo dire. Non c’è regista al mondo che non abbia cooptato, in circostanze analoghe e avverse, per location similari, meno accidentate e a miglior mercato. Si pensi solo al Vietnam di Coppola in Apocalypse Now ripreso nelle Filippine. E poi il mondo è pieno di paesaggi ventosi e desertici. No, si ha proprio l’impressione che il film stesso abbia avuto bisogno di “respirare” Pazuzu. Ma è fantasia, si obietterà, scaturita dalla mente fertile di due grandi visionari. Non ne siamo così certi.
L'articolo continua nelle prossime puntate... Note:
(1) L'ombra del dio alato, Tropea, Milano, 2003;L'esorcista, il cinema, il mito (con Daniela Catelli), Falsopiano, Alessandria, 2003;Pazuzu, Delosbooks, Milano, 2008 (come Yon Kasarai); jay.rtf (Lake Effect) in “Archetipi”, a cura di Luigi Acerbi e Daniele Bonfanti, Edizioni XII, 2009.
(2) In Italia, Il giuramento, Garzanti, Milano, 2008.
(3) Charles Fossey, La magie assyrienne, Ernest Leroux éditeur, Parigi, 1902.
(4) Daniela Catelli. L'esorcista – 25 anni dopo, PuntoZero, Bologna, 1999
(5) Luca Crovi, Io, posseduto dal demone della scrittura, intervista a William Peter Blatty
Profilo dell'autore
Danilo Arona: Scrittore, giornalista, saggista, è uno dei maestri della letteratura horror italiana. Ha pubblicato diversi romanzi tra i quali: Ritorno a Bassavilla (Edizioni XII) L'estate di Montebuio, (Gargoyle Books) Santanta (Perdisa), Palo Mayombe 2011 (Kipple), Malapunta (Edizioni XII), Rock I Delitti dell'Uomo Nero (Edizioni della Sera), Bad Vision (Urania-Mondadori), Finis Terrae (Segretissimo Mondadori), La Croce sulle labbra insieme a Edoardo Rosati (Segretissimo Mondadori), Onryo. Avatar di Morte (Urania-Mondadori) antologia curata insieme a Massimo Soumarè. Al suo attivo anche molti racconti, inclusi in diverse antologie (Bad Prisma- Epix Mondadori) articoli e saggi, tra i quali Gli Uccelli di Alfred Hitchcock e L'alba degli Zombie (Gargoyle Books) : http://www.daniloarona.com/