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Pci: Passaggio di Campo Inconfessabile di A. Berlendis

Creato il 05 luglio 2012 da Conflittiestrategie


 

la dinamica del Pci dalla fine degli anni Sessanta ai primi degli anni Novanta in tre Atti,

scritto da Andrea Berlendis

Allora tutto si assottiglia e sta rinchiuso dentro il riquadro

della finestra. E’ là che si dipinge, nei suoi tratti pittoreschi

e nella sua composizione, l’immagine del mondo. E’ l’immagine

più composta e insieme più fragile, perché è l’immagine del

reveur, dell’uomo che fantastica libero dalle cure immediate

Gaston Bachelard

L’epistemologo francese sosteneva, non solo che non vi fosse un diaframma insuperabile tra il rigore della pratica scientifica ed i testi letterari, ma che l’immaginazione fosse fonte di produzione di conoscenza. A conferma di questo, i volumi che qui prendo in considerazione, scritti a metà degli anni Settanta, pur situandosi tra finzione e realtà, svelavano sul Pci più di quanto facessero seriosi e pretenziosi volumi di taglio sociologico o politologico dello stesso periodo (ma anche del successivo). Al di là delle differenze tra gli autori, tra i loro orientamenti politico-culturali, tra i loro intenti ed anche del diverso valore letterario dei tre componimenti, li ho riletti estraendone dei passi sulla base dell’ipotesi lagrassiana del cambiamento di campo del Pci. Allora, passaggi come quelli sottocitati potevano apparire troppo fantasiosi per essere reali, ma oggi si deve riconoscere che erano estremamente reali per essere considerati fantasiosi.

 

I. Inizio dello spostamento

Nel primo testo si evidenzia il mutamento della natura sociale del Pci, dato ormai per ampiamente avvenuto. In questo pamphlet del 1975, opera di un autore celatosi dietro la sigla Censor (alias Gianfranco Sanguinetti) dal titolo: ‘Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia.’, il protagonista appare come un personaggio appartenente alla ristretta cerchia degli ambienti capitalistici italiani (all’epoca si sospettò persino di Carli o Merzagora) che in tono confidenziale descrive la genesi e i possibili effetti del compromesso storico. Così sentenziava il misterioso uomo dei ‘poteri forti’: “Fu verso la metà del 1969 che venne chiesto esplicitamente al Pci quali garanzie offriva al governo per potere, arrestare il movimento prima dell’autunno e che cosa esigesse in contropartita. I comunisti, che sapevano meglio di tutti quale fosse la posta in gioco e la pericolosità del momento, avanzarono le loro richieste: ma sia il potere politico che buona parte degli industriali o perché sottovalutavano i rischi dei mesi successivi, o perché sopravvalutavano il ‘rischio’ di un qualunque accordo col Pci, trovarono le contropartite che i comunisti esigevano sproporzionate alle garanzie che essi offrivano. Si può dire, col senno di poi, che la Democrazia cristiana ignorava la forza e l’utilità di un partito comunista in queste circostanze.” (1) In primo luogo rimarco che anche in un testo di tal fattura letteraria, l’anno 1969 è indicato come il crocevia di eventi che spingeranno il Pci in una data direzione. Ma tali eventi poterono produrre determinati effetti, a causa dell’esaurimento dell’ipotesi strategica togliattiana, in ogni sua variante, il che lasciò il Pci allo sbando completo (anche se in superficie—e men che mai nella superficie, occupata interamente dalla forma ideologica—si poteva intravedere), pur essendo dotato di rilevante consistenza sociale e politica oltre che di importanti risorse organizzative. Così ragionava l’autore dell’ipotetico (ma una fantasia dimostratasi reale) rapporto in quanto appartenente ai gruppi di agenti strategici (sub)dominanti italiani, quando erano ancora capaci di pensieri lunghi: “noi sappiamo che non si tratta più, al momento attuale, di vedere se abbiamo o meno bisogno del Pci, dato che nessuno può negare di quanta utilità ci sia stato questo partito negli ultimi e difficilissimi anni, allorché sarebbe stato tanto più facile, per i suoi dirigenti nuocerci in maniera forse irrimediabile; ma che, ben al contrario, si tratta per noi di essere in grado di offrire a questo partito garanzie sufficienti perché, una volta alleatosi apertamente con la nostra gestione del potere, non corra il rischio di essere coinvolto in una eventuale rovina, di cui il Pci si troverebbe a condividere ipso facto le responsabilità e il peso, perdendo simultaneamente la propria base operaia che, non potendo più conservare alcuna illusione, nemmeno sul più piccolo cambiamento della propria sorte—sorte effettivamente molto poco invidiabile—, e stimandosi senza dubbio in questo tradita dalla propria direzione, reagirebbe liberamente al di fuori e contro ogni controllo. Ecco la vera questione, ecco il pericolo reale.” (2) Vengono ironicamente riconosciuti i tristi meriti del Pci, nel senso dell’affidabilità gestionale che non incidesse sui processi riproduttivi della formazione sociale capitalistica italiana, e potessero essere vantati quali titoli di legittimazione all’ingresso nell’apparato statale governativo. Per questo l’anonimo altolocato interlocutore risultava infastidito dall’incomprensione della funzione che il Pci poteva svolgere: “Tutti assistiamo, per esempio, all’ottusità con cui viene condotto attualmente, da parte dei principali esponenti politici, il dibattito su ciò che da mesi va sotto il nome di ‘questione comunista’, come se questo fosse un problema tanto più imbarazzante in quanto ‘, e come se noi—e altri non certo meno qualificati—non avessimo ancora concordato i modi, i tempi e le condizioni che renderanno utile alle due parti l’ingresso ufficiale del Pci nella sfera del potere; e come se i dirigenti comunisti non avessero già accettato ufficiosamente, nei più recenti incontri avuti, anche nei dettagli a loro più sfavorevoli del progetto, che, con dovuta cautela, si stanno occupando di far accettare alla base del loro partito, che si crede più radicale.” (3) Che cosa dovevano far metabolizzare, senza rigurgiti alla propria base i dirigenti del Pci? Non certo l’avvenuto dissolvimento di ogni velleità ‘rivoluzionaria’, perchè come esemplificativamente mostra la citazione di Mattioli riportata in un recente articolo di Duchini: è inutile che si dica che i comunisti hanno possibilità e capacità rivoluzionarie, non ci pensano manco loro, non ne parlano più. Nel senso che questi sono dei riformisti, tanto che vorrebbero cercare in un modo o nell’altro di vedere di partecipare a quello che è il governo e quindi l’amministrazione di questo paese…”. L’indicibile ed indigeribile era a mio avviso rappresentato dal mutamento di campo geopolitico del Pci , mascherato dietro l’opzione per la coesistenza e distensione Est/Ovest, la presa di distanza dall’Urss, sino poi all’esplicitazione dell’esaurimento della spinta propulsiva….

 

II. Il salto con ostacoli _Il cambiamento di campo geopolitico (tradimento)

Il passaggio di campo del Pci è adombrato da un altro libello del 1975 scritto da un Anonimo (in realtà il giornalista Gianfranco Piazzesi) dal titolo: ‘Berlinguer e il professore. Questo romanzo vi racconta come avverrà il compromesso storico’. Protagonista è il Professore, un esponente Dc investito della regia dell’operazione politica della cooptazione del Pci. Parlando con Kissinger a nome della Dc , il Professore asseriva perentoriamente: “Noi sappiamo bene, caro e illustre amico, che voi americani avete sondato nella direzione opposta. I vostri contatti con i comunisti italiani, molto confidenziali ma non proprio segretissimi, durano ormai da tempo. Ma permettetemi di dire che voi americani, in questo caso, state commettendo un grosso errore di valutazione. E non già come ritengono i fessi, perché il Partito comunista italiano è troppo legato all’Unione Sovietica, perché il Partito comunista italiano è una copia, solo lievemente truccata, ma sostanzialmente conforme, di quel Pcus che i vostri cremlinogi conoscono tanto bene. No, voi avete commesso l’errore contrario, non vi siete resi conto di quanto italiano si il partito diretto dall’onorevole Berlinguer. Mio caro e illustre amico, i comunisti italiani somigliano molto più a noi che non ai compagni sovietici. E ve lo posso facilmente dimostrare. Durante i vostri sondaggi, ne avete mai trovato qualcuno che via abbia risposto con un bel sì o con un bel no? In tanti colloqui, avete fatto soltanto una collezione di ‘ni’, come vi accade quando parlate con noi democristiani. Siete mai riusciti a capire che razza di governo vogliono formare, che razza di sistema vogliono edificare, una volta che saranno arrivati al potere? Siete ma i riusciti a capire che cosa esattamente significhi il loro nuovo modello di sviluppo?” (4) Dall’immaginario discorso dell’altrettanto immaginario protagonista emergono elementi decisivi sulla traiettoria che il Pci stava compiendo. In primo il Pci non è assolutamente ritenuto filosovietico, come invece l’ideologia anticomunista, identica al nero di seppia, ha sparso a piene mani sino all’accecamento. In secondo, invece si portano alla luce i rapporti tra il Pci_e gli Usa (“durano ormai da tempo”), e sono il segreto inviolabile al tempo per la base sociale del Pci. Tra l’altro si evince chiaramente che l’iniziativa dei contati è partita dagli Usa e non dalla dirigenza del Pci, e si adombra che Kissinger, nella sua politica di contenimento includa solo la repressione e non anche la cooptazione, per raggiungere gli stessi scopi, rispetto alle forze politiche nominalmente comuniste. In terzo luogo, si paventa una strategia Usa per sostituire referente la Dc quale referente politico della formazione sociale italiana. In quarto luogo, si copre il cambiamento di campo del Pci con la nebulosa affabulatrice della ricerca di una ‘terza via’ che rimase sempre necessariamente indeterminata almeno tanto era invece determinata la via realmente perseguita del passaggio da un campo geopolitico all’altro, non più come accettazione passiva di una condizione di necessità esito della divisione tra i due campi geopolitica prevalenti nella seconda guerra mondiale, ma come riconoscimento attivo e pienamente legittimante del campo geopolitico avverso (gli Usa) rispetto a quello (Urss) in cui ci si era collocati precedentemente (con l’obiettivo di ottenerne reciprocamente il riconoscimento e la legittimazione-investitura a competere con la Dc per il ruolo di referente politico italiano per i gruppi Usa prevalenti).

III. L’esito finale. Che cosa diventa il Pci , dopo il cambiamento di campo geopolitica, alla fine della sua tragitto?

Un ritratto di che cosa sarebbero diventati i piciisti e i loro derivati (tossici ancor più di quelli finanziari), lo si può trovare nell’opuscolo del 1977 prodotto da un falso d’autore, Berlinguer ‘Lettere agli eretici Epistolario con i dirigenti della nuova sinistra italiana.’ In una missiva indirizzata a Pannella il misterioso autore fa scrivere a Berlinguer le seguenti parole:

Noi comunisti non abbiamo mai nascosto di mirare all’egemonia circa la gestione dello spettacolo sociale, ma ad essa intendiamo pervenire non in via autoritaria, bensì con la persuasione di quanti – purtroppo ancor’oggi numerosi – propugnano il ricorso esclusivo allo spettacolo sanguinario. […] Ora, per quanto a prima vista incredibile, noi potremmo già oggi presentare uno spettacolo idoneo non solo a scoraggiare il popolo dal fare rivoluzione, ma atto ad indurlo altresì ad imboccare attivamente la via della controrivoluzione. Bisogna liquidare una volta per tutte il vecchio pregiudizio secondo cui la controrivoluzione è un prodotto esclusivo delle classi dominanti, libere di agire dopo avere paralizzato la volontà sovversiva dei subalterni. Se mai ciò è stato vero in regime autoritario, non può più esserlo oggi, in regime democratico, dove l’iniziativa deve partire dal popolo, ogni iniziativa, anche quella di agire per la controrivoluzione.” (5)

 

In primo luogo sottolineerei l’aspirazione alla gestione dello spettacolo sociale, senza esserne né registi ne committenti: infatti si aspira all’egemonia, ma la gramsciana corazza coercitiva su cui inscindibilmente si fonda, è lasciata ad altri—il ruolo è infatti coperto dalla pomiciniana ‘manina d’oltreoceano’). Chi è stato a infatti gestire—con ruolo eterodiretto dai subdominati interni e dai predominanti Usa—lo spettacolo sociale del colpo di Stato giudiziario di Mani Pulite essendone i principali beneficiari? O lo spettacolo sociale del Grande Debito che portava il paese sull’orlo della bancarotta, che ha dato l’avvio allo smantellamento dell’industria pubblica italiana deciso sul panfilo Britannia? Oppure dello spettacolo sociale dell’antiberlusconismo ultima (re)incarnazione del fascismo (o di un pericoloso regime autoritario)? Oppure ancora, dello spettacolo sociale dei vili e criminali bombardamenti sulla Jugoslavia? Ma il punto decisivo è, al di là dell’appropriatezza del termine contro-rivoluzione, che si ipotizzava in quel brano l’unica vera transizione del Pci, non verso lidi moderati e men che mai socialdemocratici, ma autenticamente reazionari. Perché gli ex-piciisti vennero individuati dai centri strategici statunitensi come sicari interni, cioè promossi quali punte di lancia della conduzione di politiche d’indebolimento prima e di azzeramento poi dei margini di azione autonoma e di sovranità nazionale, unitamente alle fondamenta nella struttura sociale italiana che consentivano tali proiezioni, ed avevano evitato un completo asservimento (evitato a suo tempo, anche, giocando anche sulla collocazione geostrategica di faglia della formazione sociale italiana, rispetto all’assetto bipolare).

 

La conclusione di questo trittico la traggo dal testo comico di Benni ‘La tribù di Moro seduto’ edito nel 1977, in cui sagacemente scriveva: “Pubblichiamo in esclusiva un’intervista con mister Arthur James Jammellon, esperto politico americano, capo della sezione italiana della Bullets import-export, membro del Comitato italo-americano Alpini. Mister Jammellon, dopo aver lavorato a lungo in Sudamerica, si trova ora dal 1971 in Italia, salvo brevi vacanze in Cile.”. L’intervistatore ripete ossessivamente numerose volte la stessa domanda all’ ‘Amico americano’ [Titolo del capitolo]: “Mister, Jammellon cosa significa per l’Italia la vittoria di Carter?” Finalmente alla fine risponde così: “Sì, lo so, a voi piacerebbe molto che Carter mandasse i marines e portasse Berlinguer a Montecitorio o a Regina Coeli. Vi toglierebbe dall’impiccio. No?” (6)

A posteriori, data la scelta della prima opzione (pur realizzatasi con diversi portatori soggettivi—data la sopraggiunta morte di Berlinguer—, in tempi successivi—anni Novanta dopo colpo di Stato giudiziario di Mani Pulite—, in forme diverse—fine del Pci dopo crollo Urss e varo del Pds) si può rimpiangere il fatto della mancata attuazione della seconda opzione: forse—in assenza di amnistie e amnesie varie—ci avrebbe risparmiato l’avvento degli organismi geneticamente modificati derivati dagli ex-piciisti, che solo un redivivo Dino Risi avrebbe potuto immortalare in un remake de ‘I mostri’.

 

NOTE

 

  1. Censor ‘Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia.’ Scotti Camuzzi editore, pag 54

  2. Censor ‘Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia.’ Scotti Camuzzi editore pag 8

  3. Censor ‘Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia.’ Scotti Camuzzi editore pag 7

  4. Anonimo ‘Berlinguer e il professore. Questo romanzo vi racconta come avverrà il compromesso storico.’ Rizzoli editore pag. 76

  5. Berlinguer ‘Lettere agli eretici Epistolario con i dirigenti della nuova sinistra italiana.’ (Falso)Einaudi editore pag 19-20

  6. Benni ‘La tribù di Moro seduto’ Arnoldo Mondadori editore pag 49-52

 


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