La nuova, fiammante campagna di adesioni al Popolo della Libertà deve registrare due notazioni d'obbligo, anzi tre, anzi quattro. La prima, esplicita e palese, riguarda l'assenza - per la prima volta da diciassette anni a questa parte - del nome di Berlusconi nel simbolo. E questo è un segnale importante di come lo stesso fondatore del movimento (non chiamatemelo "partito") evidentemente considera la "vendibilità" della sua immagine presso gli utenti più o meno finali, e della direzione finalmente diversa (?) verso cui il partito sta guardando in vista delle prossime elezioni politiche, quando mai saranno.
La seconda, assai più sottile, riguarda la forma degli slogan: tutte domande. Il PdL non aveva mai sollevato quesiti al popolo, non sembrava interessato a voler far ragionare il suo elettorato, piuttosto a servigli dei dogmi preconfezionati senza possibilità di fare ipotesi o di poter deragliare da binari solidamente imbullonati lungo una strada concettuale già tracciata. Questo implica un approccio diverso al destinatario del messaggio, in quanto, contrariamente all'affermazione, la domanda - ancorché retorica - presuppone istintivamente che il destinatario fornisca una risposta e quindi partecipi in maniera attiva all'assimilazione del messaggio/domanda la cui fruizione dunque si completa non solo con la lettura del messaggio in sé, ma anche attraverso l'elaborazione consapevole della sua risposta.
La terza, strettamente collegata alla seconda, è che - come prevedibile - non si tratta di domande normali, essendo domande puramente tautologiche, ovvero quesiti in cui la risposta è già contenuta nella domanda. In altre parole si tratta di false domande cui la risposta è - di fatto - concettualmente obbligata, o intrinsecamente rispetto all'idea che la domanda esprime, oppure rispetto a come la domanda risuona nell'interlocutore. Per esempio "Ami davvero il tuo paese?" Ovviamente tutti coloro che vogliono sentirsi buoni cittadini, o anche solo per amor di carta d'identità, risponderanno "Sì". Tendendo dunque a stabilire una correlazione tra la domanda e la risposta, analogamente questo processo tende a instaurare una connessione tra il mittente e il destinatario, rispetto a una sostanziale unità di intenti che vuole in questo modo configurarsi su un piano subliminale, ovvero assai più profondo e meno visibile.
Ma c'è un'altra cosa.
Le domande che campeggiano sui cartelloni infatti sono cinque, tre delle quali invero assai fiacche e prive di una qualche originalità ("Vuoi difendere la tua libertà?", "Ami davvero il tuo paese?" e "Vuoi dare più forza all'Italia?"). Le ultime due però sono diverse perché non attengono strettamente al piano politico o sociale come le altre, che si rivolgono direttamente al rapporto del cittadino con la sua nazione, o parlano al cittadino del valore cui socialmente egli dovrebbe tenere di più, ovvero la libertà. La quarta infatti recita semplicemente: "Non vuoi arrenderti alle difficoltà?" E trovo che sia anch'essa un po' bolsa. Mentre l'ultima, la più spettacolare, chiede: "Sai distinguere il vero dal falso?" Ed è proprio su questa in particolare che mi voglio soffermare. Qui non si trova alcun riferimento diretto o indiretto alla politica, dunque, né all'economia o alla società. Nessuna citazione dei temi più classici di una campagna politica: lavoro, istruzione, pensioni, giovani, occupazione, sanità, sviluppo, sicurezza, né alcun riferimento a tipici valori politici o sociali. Invece viene tirato in ballo solo il concetto di vero e di falso. Non vi pare strano?
Ebbene, anche questa, come le altre, anzi ancor più delle altre, è una domanda la cui risposta è obbligatoria. Chi non distingue il vero dal falso, significa che è uno che si fa infinocchiare e chi mai ammetterebbe candidamente di essere uno che si fa abbindolare? La curiosità è che ci si vede provenire una domanda sulla verità e la falsità delle cose da parte di un movimento (non chiamatemelo "partito") che ha al vertice un personaggio che apertamente, senza mai alcun ritegno, ha sempre fatto proprio della confusione tra il vero e il falso la sua cifra comunicativa. Vista sotto questa lente, la domanda assume dunque i contorni di una pericolosissima arma a doppio taglio. Per la serie: ma come, proprio tu mi vieni a chiedere questo?! Tu e i tuoi lacchè a gettone, bugiardi matricolati, che non fate altro da diciassette anni che dire una cosa e subito dopo il suo contrario e non fate altro che praticare lo sport di pronunciar menzogne, anche (soprattutto) quando sono facilmente verificabili, dunque smentibili? A me verrebbe da rispondere: certo che so distinguere il vero dal falso, e proprio per questo non mi ci iscriverò mai al tuo cazzo di movimento! Quindi c'è qualcosa che non torna. Possibile che chi ha concepito la frase non abbia pensato alla possibilità di una reazione del genere? Siamo dalle parti del Tunnel Gelmini, o c'è qualcosa sotto?
È evidente che qui l'effetto marketing si gioca davvero sul filo di un rasoio molto sottile e affilato, perché in questo caso il messaggio è ancora più subdolo e fa il doppio gioco tipico del venditore più astuto. Io, che ti sto facendo la domanda, so che tu sei di quelli come si deve, di quelli che non si fanno prendere per il naso, anzi voglio proprio solleticare la tua autostima di soggetto furbo e intelligente. Per questo so che tu penserai che nessuno, mosso dall'intenzione di fregarti, avrebbe il coraggio di porti una simile domanda. Nessuno che volesse abbindolarti sul serio vorrebbe metterti, lui per primo, la pulce nell'orecchio. Dunque la tua retroazione a un simile messaggio sarà quella di tendere a credere alla veridicità della fonte che lo esprime e quindi di schierarti dalla sua parte. Questo se le tue resistenze interne non sono molto forti, naturalmente. Altrimenti scatterà, inevitabile, la pernacchia. Per questo, la frase in sé suona quasi come un'ardita scommessa, o come l'estremo tentativo di salvare una diga che sta mostrando giorno dopo giorno sempre più falle. La sensazione però è che di dita per tappare tutti i buchi stavolta non ce ne siano abbastanza.