Pearl Jam, il video completo del live a Trieste

Creato il 01 dicembre 2014 da Motasemper

Per chi aveva vent’anni nei primi anni 90, assistere oggi a un concerto dei Pearl Jam equivale a ripercorrere un flashback attraverso la propria vita. Eddie, Stone, Jeff, Mike e Matt sono cresciuti e maturati, il loro spettacolo è una lunga cavalcata ideata per regalare al pubblico il meglio della propria carriera, ma ogni sera in modo diverso, modificando sempre drasticamente la scaletta, facendo dell’imprevedibilità un asso nella manica che poche altre formazioni al mondo riescono a giocarsi in maniera altrettanto credibile. Uno show di tre ore nel quale i cinque musicisti americani (sei, considerata la presenza alle tastiere del membro aggiunto Boom Gaspar) danno l’anima.

Il giochino del “vediamo con cosa apriranno stasera” a Trieste (bello lo stadio “Nereo Rocco”, sufficientemente grande e raccolto, 35.000 presenze stipate fino ai piani più alti delle gradinate) si risolve in favore di “Elderly Woman”, che assieme a “Low Life” rappresenta l’elegante preludio di un concerto memorabile realizzato da un guppo in evidente stato di grazia. Ma la vera dichiarazione d’intenti è il terzo pezzo, “Black”, la carta del superclassico lanciata subito sul tavolo verde, a far intendere che se ne vedranno delle belle. E infatti per tre ore tonde (con ben 34 canzoni eseguite) il pubblico resterà coinvolto in un vero e proprio uragano emozionale, con punte di catarsi ai massimi storici.

I momenti memorabili saranno molteplici: dal funambolico Mike McCready che suona parte del solo di “Even Flow” con la chitarra posta dietro il collo (tanto per non far dimenticare che questi ex-ragazzi vengono da Seattle, la stessa città che diede i natali a Hendrix), alle migliaia di luci (oggi non sono più accendini, ma telefonini) che costellano l’esecuzione da brividi di “Come Back”, dedicata da Eddie a Johnny, un amico recentemente scomparso, fino all’applauditissimo ripescaggio di “Chloe Dancer/Crown Of Thorns”, brano di quella che fu la band genitrice dei Pearl Jam, i Mother Love Bone, perché un omaggio ad Andrew Wood è sempre dovuto: senza la sua prematura scomparsa forse tutto questo non ci sarebbe mai stato, e forse Vedder avrebbe continuato a surfare sulle onde di San Diego, serbando segreti desideri irrealizzabili.
Quel Vedder che stasera ha scelto di indossare il completino del perfetto ragazzo della Generazione X, camicia a quadri e bermuda appena sotto il ginocchio, la stessa divisa che spesso aveva in dosso ai tempi di “Ten”/“Vs”/“Vitalogy”.

Non mancano i brani più famosi, i cavalli di battaglia (“Alive”, “Jeremy”, “Given To Fly”), ma come sempre grande attenzione viene riservata ai fan più devoti e oltranzisti, attraverso il recupero di chicche particolari da una discografia sconfinata: oggi tocca a “Down” (outtake che finì nell’enciclopedico “Lost Dogs”) e “Let Me Sleep” uno dei brani che annualmente il gruppo regala agli iscritti del fan club come omaggio natalizio.
Quando i Pearl Jam diventano rabbiosi, dimostrano di avere la stessa intatta carica degli esordi, come avviene sia nei feroci evergreen “Why Go”, “Animal” e “Whipping”, sia nelle più recenti scorribande di “Got Some” e “Mind Your Manners”. E poi ci sono i pezzi dove viene giù lo stadio, e sono tanti, da “Corduroy” a “Do The Evolution”, fino alle amatissime “State Of Love And Trust”, “Porch” e “Once”.
Ma il momento topico è nell’esecuzione della stupefacente “Deep”, con Eddie Vedder piegato su sé stesso a gridare tutta la rabbia del mondo. Se non è leggenda questa!

A saltare in aria sulle note di “Rearviewmirror” e “Better Man”, cantando ogni singola parola all’unisono, non sono soltanto i vecchi nostalgici del grunge, ma anche adolescenti che non erano ancora nati quando i Pearl Jam scesero in Italia per la prima volta. Perché oggi quella di Vedder è una band transgenerazionale, in grado di riempire uno stadio in qualsiasi angolo del pianeta, presentando uno show sempre intenso, trascinante e ineccepibile. L’unico appunto è che dopo tanti anni continuare a chiudere i propri set quasi sempre con le stesse canzoni (e stavolta “Rockin In The Free World” e “Yellow Ledbetter” vengono suonate entrambe, come al solito a luci accese, dando vita a un doppio inatteso ending) sta diventando un pochino stucchevole. Ma se a chiederlo è uno striscione di oltre venti metri srotolato lungo l’intero inner circle, beh, allora c’è davvero ben poco da discutere.
Questo di Trieste (seconda tappa italiana dell’European Tour 2014, dopo quella di Milano di due giorni prima) se non è “il concerto più bello della nostra vita”, è senz’altro “il concerto della nostra vita”, perché in tre ore abbiamo ripercorso tutto quello che siamo stati, tutto quello che abbiamo pensato, tutto quello che abbiamo vissuto, tutto quello che abbiamo sognato, dal 1991 ad oggi.

di Claudio Lancia – fonte Ondarock

VIDEO CREDIT DIRECTED BY: Alessandro F. DOWNLOAD LINK (google drive): https://drive.google.com/file/d/0B353…

None of This Has Been Possible Without The Following People Who Gave Their Videos For The Project:

apis38, SpirO, farco777, Daniel Beg, Stefano PJ, Franci28700, alfpaip, thomastute, kiroboy78, Alessandro Cimador, EdVedder85, connington72, ENUMAELISH666, Pearl Jam Mike, alphaboyzitaly,
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Also Thanks To The Following People From “Pearl Jam Online.it”:

Antonio Boldri, Manuel Borga, Lukas Vedder, Eugenio Prete, Evelina Gamberini, Edda Vedder, Domenico Carcangiu, Luca Filardi

Playlist 

Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town

Low Light

Black

Sirens

Why Go

Animal

Corduroy

Getaway

Got Some

Given To Fly

Leatherman

Lightning Bolt

Mind Your Manners

Deep

Come Back

Even Flow

Down

Unthought Known

Infallible

Whipping

Do The Evolution

Rearviewmirror

…. ….

Let Me Sleep

Chloe Dancer / Crown Of Thorns

Jeremy

State Of Love And Trust

Wasted Reprise

Life Wasted

Porch

…. ….

Better Man

Once

Alive

Rockin’ In The Free World

Yellow Ledbetter

 

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