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Pecol dei lupi, l’odissea infinita.

Creato il 07 aprile 2012 da Mir Gorizia @Ettore_Ribaudo
Sono di pochi giorni  le dichiarazioni del Sindaco di Cormons Patat e del Presidente della Provincia di Gorizia, i quali dicono che PECOL DEI LUPI NON VERRA’ RIAPERTA, cosa altamente falsa, vedrete la discarica verrà riaperta dopo le elezioni!!!! (SE MI SBAGLIO CHIEDERO’ SCUSA)
Sempre in barba a tutti i cittadini onesti d Cormons, Brazzano e Borgnano; i quali sono ormai stufi di essere presi in giro dal politico di turno.Pecol dei lupi, l’odissea infinita.

Non dimentichiamo che vi è anche un altro problema: quello del ricorso vinto presso il Consiglio di Stato fatto da STI spa ex proprietari dell’area di Pecol, in merito in merito all’occupazione d’urgenza dell’area.
Il Consiglio di Stato ha detto che è stato tutto illegale ed adesso il Comune, la Provincia e la Regione devono pagare i danni; ecco la sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2194 del 2003, proposto da:
S.I.R. Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Vittorio Domenichelli e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

Regione Friuli Venezia Giulia, rappresentata e difesa dall’avv. Vinicio Martini, domiciliata in Roma, piazza Colonna n. 355;
Comune di Cormons;

nei confronti di

Azienda Multiservizi Isontina- Ami Spa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA n. 00879/2002, resa tra le parti, concernente occupazione d’urgenza per ampliamento discarica per rsu.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 il Cons. Armando Pozzi e uditi per le parti gli avvocati Luigi Manzi e Vinicio Martini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con deliberazione del Consiglio di Amministrazione n. 53 del 30/4/96, il Consorzio tra enti locali CISA (oggi AMI) ha approvato il “progetto esecutivo dei lavori di ampliamento della discarica di Pecol dei Lupi — 1° lotto, riguardante anche i terreni di proprietà della Società appellante.

Intervenuta l’approvazione del progetto anche da parte della Regione Friuli-Venezia Giulia, con decreto 18/6/96 dell’Assessore all’Ambiente, il Sindaco di Cormons, con ordinanza n. 747/96 del 5/10/96, ha autorizzato il Consorzio ad occupare in via temporanea e d’urgenza, fino alla data del 30/4/99, gli immobili di proprietà della SIR.

L’ occupazione d’urgenza è, poi, in concreto, avvenuta in data 3 dicembre 1996.

In seguito, il Presidente del Comitato regionale di controllo, con proprio decreto del 3/2/99 ed il Sindaco di Cormons, con propria ordinanza del 13/3/99, su richiesta del CISA, hanno prorogato al 30 aprile 2000 i termini finali – rispettivamente – delle espropriazioni e dell’occupazione d’urgenza, motivando con il rilievo che gli espropri non si sarebbero potuti concludere entro i termini inizialmente previsti in assenza della stima dell’indennità definitiva da parte della competente Commissione provinciale.

I predetti provvedimenti sono stati impugnati da Sir al Tar Friuli Venezia Giulia con il ricorso n° 334/99.

Con decreto n. 534 del 21/7/99 il Direttore regionale del Servizio Espropriazioni ha disposto l’espropriazione, a favore del CISA, delle aree di proprietà dell’odierna appellante, destinate all’ampliamento della discarica.

Anche il predetto decreto di esproprio è stato impugnato dalla soc. Sir dinanzi al Tar con il ricorso n° 582/99, con cui si deduceva illegittimità in via derivata dagli stessi vizi dedotti con il precedente ricorso avverso il provvedimento di proroga del termine finale delle espropriazioni.

I due ricorsi sono stati rigettati dal Tar con due distinte sentenze nn° 879 e 880 del 2002.

Avverso la sentenza n. 879/02, di rigetto del ricorso n. 334/99, propone il presente appello la SIR per i seguenti motivi:

1 – Error in judicando, per contraddittorietà interna e difetto di motivazione, per violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 18 della l. r. FVG n. 46/86, nonché della l. r. FVG n. 30/87.

Con questo primo motivo la soc. Sir ripropone la censura, già formulata in primo grado, di incompetenza dell’autore del provvedimento di proroga dei termini, giacché tale atto, in quanto relativo ad un’opera “di competenza della Regione”, avrebbe dovuto essere adottato — ai sensi dell’art. 18, 2° co., lett. b), della L.R. 46/86 — dall’organo che ha approvato il progetto esecutivo, che, nella specie, era l’Assessore regionale all’ambiente, anziché il Presidente del Comitato di Controllo, come è in concreto illegittimamente avvenuto.

2 – Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, della l. r. n. 30/87 e succ. mod.. nonché dell’art. 18.2° co.. della l.r. n. 46/86.

La sentenza appellata ha motivato il rigetto della censura di “incompetenza” con l’ulteriore rilievo che — anche a voler considerare “rilevanti”, ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, “le competenze in materia di approvazione degli impianti di smaltimento” (anziché la delibera del CISA di approvazione preliminare del progetto, come affermato in prima battuta dal Tar) — tali competenze “non appartenevano alla Regione al momento dell’adozione degli atti di proroga impugnati, onde non poteva trovare applicazione 1 ‘art. 18, 2° comma, lett. b), come vorrebbe la ricorrente, ma la successiva lett. c), con conseguente competenza del Presidente del Comitato di controllo “.

L’argomentazione del giudice di prime cure viene censurata in quanto per poter individuare l’organo cui spetta disporre la proroga dei termini finali dei lavori e degli espropri (ex art. 18 L.R. 46/86), non si deve fare riferimento alle astratte competenze in materia di approvazione degli impianti di smaltimento, quali risultanti dalla legislazione sopravvenuta all’ approvazione dello specifico progetto di cui si tratta, ma si deve, al contrario, avere esclusivo riguardo all’ente che ha approvato il progetto esecutivo di quella determinata opera, in ordine alla quale deve essere disposta la proroga, come è la regola per gli atti di secondo grado.

Con riferimento al caso di specie, solo l’Assessore regionale all’ambiente avrebbe potuto legittimamente prorogare i termini finali dei lavori e delle espropriazioni, trattandosi dell’organo che aveva in concreto approvato il progetto esecutivo dell’ampliamento della discarica (in quanto opera “di competenza” della Regione, con un provvedimento che, oltretutto, conteneva anche i termini “originari” di ultimazione dei lavori.

3. Erroneità della sentenza per motivazione insufficiente e contraddittoria. Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e ss. della l. n. 865/71, nonchè dell’art. 18, 2° co., della l.r. n. 46/86.

Rileva l’appellante, riproponendo il relativo motivo del ricorso di primo grado, come la specifica ragione addotta a fondamento dei provvedimenti di proroga — cioè la presunta impossibilità di ultimare gli espropri entro i termini inizialmente fissati, per la mancanza della stima degli indennizzi definitivi da parte della Commissione Provinciale — non integri affatto quella “motivata circostanza “ cui fa richiamo l’art. 18 L. R. n. 46/1986 per legittimare la proroga..

La mancanza della stima definitiva dell’indennizzo non costituirebbe, secondo parte appellante, causa ostativa all’emanazione del decreto di esproprio, tenuto conto delle finalità della determinazione dell’indennità provvisoria e del principio di separazione dei due procedimenti, espropriativo e determinativo dell’indennità, sancito dall’art. 13 della L. n. 865/1971.

4 – Erroneità della sentenza per difetto di motivazione ed errata valutazione dei fatti di causa.

In ogni caso, la determinazione della stima dell’indennità definitiva è intervenuta ben prima della scadenza dei termini per ultimare l’esproprio e dell’emanazione dell’ordinanza di proroga del termine dell’occupazione d’urgenza.

Alla pubblica udienza dell’11 maggio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 – Oggetto del contendere, come già esposto in fatto, è il procedimento di esproprio per la realizzazione della discarica di rifiuti solidi urbani ( RSU ) in località Pecol de Lupi nel comune di Cormons, riguardante anche terreni dell’appellante società SIR.

In particolare, oggetto del presente appello è la sentenza del TAR n. 879/2002, con cui è stato respinto il ricorso avverso il decreto prot. n. 22586/12/LL.PP./A del 3.2.1999 del Presidente del Comitato regionale di controllo, di proroga del termine di ultimazione dei lavori e delle espropriazioni, relative all’ampliamento della discarica di Pecol dei Lupi; nonché l’ordinanza n. 42 del 13.3.1999 del Sindaco del Comune di Cormòns, di proroga dei termini di occupazione d’urgenza, relativi alla medesima opera.

Con il primo motivo d’appello si lamenta l’incompetenza del Presidente del CORECO a disporre la proroga dei termini per il completamento della procedura ablativa.

Al riguardo, occorre ricordare che il regime delle competenze si ricava dalle fonti normative attributive delle stesse e non già dai concreti provvedimenti assunti, eventualmente in via di fatto ed illegittimamente, da altre pubbliche amministrazioni.

Occorre altresì precisare che le fonti normative attributive delle competenze vanno individuate al momento dell’adozione del provvedimento, secondo il noto principio del “ tempus regit actus “, senza che possano assumere rilievo effetti di trascinamento indotti dall’adozione di precedenti provvedimenti assunti in un diverso quadro normativo attributivo delle competenze.

Il momento storico per individuare le competenze amministrative va pertanto individuato, nel caso di specie, alla data di adozione dell’impugnato decreto di proroga emesso dal Presidente del CORECO , cioè al 3 febbraio 1999.

2 – Vale riportare il quadro normativo alla luce del quale – secondo le prospettazioni della parte – va valutata la doglianza di incompetenza.

Per quanto concerne la realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani, la materia era regolata, all’epoca, dalla L.R. 7-9-1987, n. 30 recante appunto “ norme regionali relative allo smaltimento dei rifiuti “.

La predetta legge regionale del 1987 è stata più volte modificata da interventi legislativi e regolamentari di pari livello regionale, tra cui, in particolare, per quel che qui interessa, la L.R. 14 giugno 1996, n. 22, il regolamento di cui al D.P.G.R. 2 gennaio 1998, n. 01/Pres e la L.R. 9 novembre 1998, n. 13.

Della legge reg. n. 30/1987 dovrà dunque applicarsi il testo risultante dai predetti interventi normativi successivi, vigenti al momento dell’adozione dei provvedimenti contestati.

Con riferimento alle competenze della Regione nella materia, dispone l’articolo 5 della legge n. 30, “ Alla Regione compete: …………… e) autorizzare: 1) la costruzione e la gestione degli impianti di smaltimento dei rifiuti di cui alla lettera c “, cioè gli impianti di smaltimento dei ( soli ) rifiuti tossici e nocivi, spettando, correlativamente, alla medesima amministrazione regionale anche “ l’esame e l’approvazione dei progetti “ relativi ( lett. c).

Per quanto concerne le altre tipologie di impianti, provvede il successivo articolo 23 della medesima legge n. 30/1987, come novellata, secondo la quale : “ Alle Province compete:

……………….b) l’individuazione delle aree idonee a realizzare gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani e assimilabili e speciali non tossici e nocivi,……….; ………………d) approvare, ……..i progetti riguardanti gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilabili e speciali non tossici e nocivi, ………..); e) autorizzare, ……….la costruzione e la gestione di discariche ed altri impianti di smaltimento di rifiuti i cui progetti siano stati approvati ai sensi della lettera d )…….; “.

3 – Quanto alle ulteriori competenze degli altri enti locali, esse sono a loro volta individuate dall’articolo 28 della stessa legge regionale, a tenore del quale “Sono legittimati a costruire ed a gestire impianti di smaltimento di rifiuti: a) i Comuni; b) i Consorzi di enti locali;….. “.

Alla luce del quadro normativo brevemente riportato emerge, con assoluta chiarezza, che nessuna competenza poteva vantare la Regione FVG in materia di realizzazione ed autorizzazione degli impianti di smaltimento di RSU, ad essa spettando soltanto l’emanazione degli atti di pianificazione generale e di adozione delle normative tecniche, come disposto dal citato art. 5 della legge n. 30.

4 – Sulla riportata normativa di settore deve innestarsi la disciplina regionale delle opere pubbliche e di interesse pubblico, di cui alla L.R. 31-10-1986 n. 46 – all’epoca dei fatti ancora vigente in quanto abrogata dalla L.R. 31 maggio 2002, n. 14 – la quale, dopo avere individuato all’articolo 17 gli atti recanti dichiarazione implicita della pubblica utilità nonché di urgenza ed indifferibilità delle opere pubbliche da realizzarsi nel territorio regionale, ha disposto, con l’articolo 18 – in materia di termini di inizio e ultimazione dei lavori e delle espropriazioni, fissati, rispettivamente, in 24 mesi per il loro inizio ed in 36 mesi per la loro ultimazione a decorrere dalla data della dichiarazione espressa o implicita di pubblica utilità ed in ogni caso in tre anni per l’inizio di lavori ed espropriazioni – che “ Eventuali proroghe o fissazione di termini diversi ….sono concesse solo per motivate circostanze: a) da parte dell’organo cui compete emettere la dichiarazione espressa di pubblica utilità; b) da parte dell’organo che approva il progetto esecutivo nel caso di opere di competenza della Regione; c) nelle altre ipotesi, dall’organo che esercita istituzionalmente il controllo sugli atti dell’ente interessato o dal Presidente del Comitato di controllo, quando trattasi di opere pubbliche degli enti elencati negli articoli 3 e 4 della legge regionale 3 agosto 1977, n. 48.”.

E’, pertanto, evidente che il potere di proroga spettasse al Presidente del Comitato di controllo, trattandosi di realizzare, nel caso di specie, un impianto di smaltimento RSU, il quale, per quanto detto sopra, alla data del febbraio 1999 non era più “ opera di competenza regionale “.

5 – A contrastare le riportate conclusioni non può certo valere – come già sopra accennato – il principio del contrarius actus, in base al quale la competenza all’adozione dell’atto di proroga deriverebbe da quella dell’organo che abbia adottato l’atto da prorogare.

Al riguardo, oltre quanto già detto a proposito del principio “ tempus regit actus “, vale ulteriormente precisare che quello di proroga è un procedimento distinto e separato da quello che ha dato origine al provvedimento originario da procrastinare.

Più precisamente – secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio proprio con riguardo alla materia delle espropriazioni – la proroga è il frutto un sub procedimento autonomo (all’interno di quello più generale volto alla dichiarazione di pubblica utilità , anche se implicito, nell’approvazione del progetto di opera pubblica ).

L’autonomia del procedimento di proroga si ricava, ulteriormente, dall’osservazione secondo la quale tale sub-procedimento sarebbe capace di ledere in via autonoma la sfera giuridica del proprietario, quantomeno sotto il profilo del ritardo nell’emanazione del decreto di esproprio e, conseguentemente, nel pagamento della relativa indennità; a fortiori nel caso in cui siano stati già realizzati lavori ed il suolo sia stato completamente trasformato (CdS, sez. IV n. 248/2000).

La proroga è, poi, un provvedimento discrezionale, rispetto al quale la partecipazione del privato non è inutile e può servire ad evidenziare la sussistenza degli eccezionali presupposti per l’adozione del provvedimento ( CdS, sez. VI, 4 aprile 2003 , n. 1768 ).

Il motivo di incompetenza va dunque respinto.

6 – Merita accoglimento, invece, l’altro motivo d’appello, indicato in fatto sub n. 3, con cui si censura la mancanza dei presupposti per disporre la proroga e la illegittimità della relativa motivazione, consistente nella necessità di attendere i procedimenti determinativi del valore dei terreni onde disporre la liquidazione dell’indennità definitiva.

Sul punto il TAR – con motivazione invero sbrigativa – ha ritenuto legittimo che fra le “motivate circostanze”, che ai sensi dell’ art. 18, 2° comma, della L. R. n. 46/1986 giustificano la concessione di una proroga dei termini ben possa rientrare il fatto che la competente Commissione, per quanto a conoscenza delle autorità procedenti, non avesse ancora determinato i valori agricoli, su cui commisurare le indennità definitive di espropriazione e occupazione, con il rischio, ha osservato il Tribunale “ che essi venissero a scadere a procedimento non ancora definito, non essendovi alcun obbligo normativo, ma, a detta della stessa ricorrente, soltanto una prassi, di terminare la procedura espropriativa in assenza della sua determinazione e non risultando dalla disposta proroga alcun significativo pregiudizio agli espropriati, essendo stato emanato il decreto conclusivo della procedura già il 21.7.1999, onde non può essere condiviso il motivo “.

Si tratta di affermazioni erronee alla luce della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di Cassazione.

Premesso che la scelta della proroga dei termini da parte dell’Amministrazione rientra sicuramente nella discrezionalità della P.A., in presenza di casi di forza maggiore o per altre ragioni indipendenti dalla volontà del concessionario (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002 , n. 5755 ), tuttavia la proroga fondata sulla necessità di provvedere alla liquidazione definitiva dell’indennità di esproprio non configura quell’ipotesi di forza maggiore o di causa di necessità non imputabile all’amministrazione, ovvero ancora di “motivate circostanze” richieste dalla citata normativa regionale, cui la potestà di proroga si ricollega necessariamente.

7 – La disciplina di cui alla legge n. 865 del 1971, infatti, innovando rispetto a quella precedente, di cui alla legge n. 2359 del 1865, art. 51, che prevedeva l’emanazione del decreto di esproprio dopo la determinazione dell’indennità definitiva e non prima, all’art. 13 dispone, infatti, che l’espropriazione sia pronunciata a seguito della richiesta dell’espropriante, il quale deve fornire la prova di avere adempiuto a quanto prescritto dall’art. 12, terzo comma, ossia al pagamento delle indennità accettate e al deposito di quelle non accettate; tali indennità, peraltro, data la collocazione della norma, non possono essere che quelle da corrispondere a titolo meramente provvisorio, di cui al precedente art. 11, poiché la determinazione dell’indennità definitiva avviene successivamente, ad opera degli organi e coi criteri e le procedure previste dagli artt. 15 e seguenti, che sono appunto successivi nel testo della legge, la quale configura un distinto percorso procedimentale per l’indennità definitiva, che si diparte dal decreto d’esproprio.

La norma del 1971, infatti, secondo il costante indirizzo della Cassazione, ha individuato il dies a quo per la decorrenza del termine decadenziale in un atto diverso dalla notificazione del decreto di esproprio.

L’emanazione di quest’ultimo, secondo la legge del 1971, condiziona l’esperibilità dell’azione giudiziale di quantificazione dell’indennità (Cass. Sez. un. 20 giugno 2000, n. 453 e, da ultimo, Cass. 25 maggio 2006, n. 12408) e costituisce il dies a quo del termine prescrizionale di tale azione (Cass. 5 novembre 2004, n. 21622; 26 marzo 2004, n. 6076), anche se la sua notificazione non costituisce più, in base al testuale ed esplicito tenore della legge, il momento iniziale del decorso del termine di decadenza, ancorché nel decreto possa essere stata indicata l’indennità definitiva.

In base alla nuova previsione legislativa, a tal fine, infatti, non è sufficiente la sua notificazione, essendo necessari atti ulteriori, in conformità di una sequenza procedimentale che non è rimessa all’arbitrio dell’espropriante, ma costituisce suo onere rispettare – costituendo garanzia per gli espropriati – la quale prevede, per l’inizio del decorso del termine decadenziale, non solo la notifica da parte sua agli espropriati della misura dell’indennità definitiva, ma anche il deposito della relazione di stima presso la segreteria del Comune, contenente i criteri utilizzati nella stima, e la pubblicazione sul F.A.L. dell’avvenuto deposito di tale relazione, assunta dalla legge quale dies a quo per il decorso del termine di decadenza.

Anche secondo la giurisprudenza di questo Consiglio né l’avvenuta effettiva corresponsione dell’ indennità di espropriazione e neppure la previa determinazione dell’ indennità definitiva costituisce requisito di validità e/o di legittimità di un decreto di esproprio ( C.d.S., sez. IV, 28 aprile 2006 , n. 2411 ;sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4703 ); così che la asserita mancata previsione nel quadro finanziario dell’opera da eseguire della giusta indennità di espropriazione e la dedotta insufficienza di quella offerta dal concessionario dei lavori non può costituire in alcun modo vizio invalidante la procedura espropriativi (Cons. St., IV, 27 maggio 2002, n. 2909).

8 – In altri termini, proprio per evitare le lungaggini e le incertezze connesse alla definizione del procedimento determinativo dell’indennità finale il legislatore del 1971 ha previsto due distinte fasi, delle quali solo la prima, relativa alla determinazione, offerta ed eventuale accettazione dell’indennità provvisoria, si pone quale condizione di legittimità del decreto di esproprio, la proroga per l’emanazione del quale non può, pertanto, fondarsi sulle necessità di determinazione dell’indennità definitiva, svincolata dal primo ( Sez. IV, 22-04-1980, n. 416).

L’appello va conclusivamente accolto.

Sussistono giusti motivi, in relazione alla complessità della fattispecie ed alla fondatezza di soltanto alcuni dei motivi d’appello, per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento impugnato in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l’intervento dei Signori:

Gaetano Trotta, Presidente

Pier Luigi Lodi, Consigliere

Armando Pozzi, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

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