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Pedagogia e formazione prescolare: l’approccio reggiano conquista gli Usa.

Creato il 21 dicembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
index6di Giuseppe Leuzzi. Nel 2012 Renée Dinnerstein, maestra a Brooklyn e poi consulente scolastico, progettò un contatto approfondito fra la pedagogia americana più attenta e il Reggio Emilia Appoach o metodo reggiano. Forte di un primo contatto maturato da giovane quando si trovò a risiedere a Roma, e di successive partecipazioni a eventi e seminari della pedagogia diffusa reggiana, aveva maturato il convincimento che quell’approccio era il più produttivo. Sia dal punto di vista del bambino, dello sviluppo della sua creatività, che da quello familiare e sociale. Tanto più nell’epoca della connettività, che è una chance per i molti, ma un rischio letale per i meno adatti – come semrpe avviene neile epoche di cambiamento.

La metodologia reggiana intanto era cresciuta nella valutazione internazionale. In particolare negli Stati Uniti. Nel dicembre del 1991, “Newsweek” aveva definito l’asilo Diana, all’interno dei giardini pubblici di Reggio Emilia, la più avanzata istituzione per la prima infanzia nel mondo. L’anno dopo vennero il prestigioso premio Lego in Danimarca, nel 1993 il Premio Kohl a Chicago.

Nel corso del 2012 Dinnerstein organizzò una full immersion di una settimana per 68 educatori, in prevalenza americani e tutti di ingua inglese, a Reggio Emilia. L’immersione si fece nell’ottobre 2012, e causò una conversione in massa: il fatto di essere dei ricercatori, e non dei “badanti”, e quasi pigmalioni dello svilppo del fancilullo, ha entusiasmato i partecipanti. Come orizzonte di vita e di lavoro, e anche per gli effetti immediati. Il libro si apre con un testo redatto da due bambini di quinta elementare, Max Gryce e Sophie MacKay, della Opal School, del museo per Bambini di Portland nell’Oregon, dove l’Approccio Reggiano è praticato, che è un piccolo miracolo. La pagiennta si legge, oltre che per l’immediatezza dell’espressione, come un trattatello, chiaro, completo, di pedagogia dell’immagine, dell’occhio. Grazie all’abitudine ormai acquisita dai bambini in pochi mesi di situarsi, di porsi in relazione con le persone e i luoghi, la natura, il tempo, le cose. È uno dei primi esiti del viaggio a Reggio.

Il “Reggio Approach” ha una storia recente ma consolidata. È nato si può dire casualmente, per le esigenze dell’immediato dopoguerra, quando bisognò ricostruire sulle macerie, e la manodopera femminile era necessaria per la scarsezza di quella maschile, creando il problema dell’assistenza alla prima infanzia. Si crearono i primi asili nido informali, non più necessariamente di suore e non a pagamento, a turno, in associazione, in cooperativa, di vicinato, di quartiere, di azienda, con assistenza necessariamente non formata, se non per le prime necessità, l’alimentazione, l’igiene. Su queste esperienze diffuse una pedagogia poco alla volta emerse, all’insegna anch’essa dell’informalità. Che Loris Malaguzzi organizzerà su base ampia, e teorizzerà come metodo.

Maestro elementare, alla Liberazione Malaguzzi, svanito lo Stato,  si era trovato a dover organizzare una scuola rurale, per i bambini di contadini e operati, in un paesino nei pressi di Reggio. Fu la prima di una serie: l’esperimento fece capire a Malaguzzi che la scuola poteva autogestirsi, facendo a meno dei benefici, ma anche delle metolodologie, dello Stato. Successivamente si addottorò in Psicologia al Cnr a Roma, e al ritorno a Reggio cominciò a lavorare anche per il Comune, al Consultorio per bambini in difficoltà, oltre che per le scuole autogestite. Il Reggio Emilia Approach prende così corpo anche nelle scuole statali.

Nel 1963 Malaguzzi convinse il Comune a organizzare quella che è oggi la scuola materna, dai tre ai cinque anni. Una  decisione istituzionale che abbisognò di un’opera di convincimento delle famiglie, come ricorda il ritatto dell’educatore su wikipedia: “Una volta a settimana portavamo la scuola in città. Letteralmente, noi caricavamo noi stessi, i bambini, ed i nostri strumenti di lavoro su un camion e facevamo scuola e organizzavamo delle mostre all’aria aperta, nei parchi pubblici o sotto il portico del teatro comunale. I bambini erano felici. La gente guardava; erano sorpresi e facevano domande”.

Il bambino sa 100 lingue

Nel 1970 Reggio Emilia apre la strada anche agli asili nido, dai tre mei ai tre anni. Sull’esperienza maturata si comincia a costruire una metodologia. Una rivista, “Zerosei”, raccoglie e affina le esperienze. Si fanno convegni di confronto. Malaguzzi sintetizza in varie pubblicazioni gli esperimenti e gli esiti. Nel 1980 fonda il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, sempre a Reggio Emilia. Morirà nel 1994 – l’anno in cui è nato “Reggio Children”, centro internazionale per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle potenzialità dei bambini. Avendo definito il “Reggio Approach”, ormai riconosciuto internazionalmente, su queste lineee: il bambino è un soggetto di diritti e un produttore di conoscenze, guidato da propri, diversificati, interessi: i bambini sono comunicatori, posseggono “100 linguaggi”; l’apprendimento avviene autonomamente; all’interno di una rete di relazioni con gli educatori, la famiglia, l’ambiente (e i linguaggi).

Il bambino del “Reggio Approach” è ricettore e insieme creatore di conoscenza, va quindi seguito nel senso di lasciarlo libero di interagire con l’ambiente, ascoltarne le riflessioni, coglierne il senso, stimolarlo ulteriormente. È il bambino il protagonista e direttore del proprio percorso di apprendimento. È uno sviluppo dell’idea “costruttivista” di Piaget, che vedeva il bambino come costruttore di conoscenze, ma quasi isolato. No, Reggio lo vuole dotato di un potenziale maggiore, attivato dall’interazione con gli altri bambini, gli oggetti, l’ambiente, gli adulti. ll ruolo dell’insegnante è di accompagnamento e aiuto.  Anche di apprendimento: Malaguzzi lo dice “co-apprendista”, insieme al bambino, “all’interno della situazione di apprendimento”, col contributo delle sue cognizioni e delle sue esperienze. L’educatore si qualifica soprattutto come ricercatore.

Il libro ne fa un monumeto – e Heinemann, il grupo angloamericano leader dell’editoria per la formazione. Le discussioni nei seminari e workshop, a Reggio e dopo, sono cresciute fra i partecipanti di intensità e di scopo, e il progetto di una proposta di rinnovamento della prima educazione è nato. Con il contributo di specialisti e esperti, che hanno proposto i saggi di cui si compone il volume. Non più il nozionismo, ma uno stimolo al bambino ad aprirsi e interagire: a svilupparsi autonomamente. Lui e l’insegnante insieme. Un principio semplice che Loris Malaguzzi così sintetizzava: “Apprendimento e insegnamento non dovrebbero stare su rive opposte, a guardare il fiume scorrere sotto; dovrebbero inveve imbarcarsi insieme in un viaggio sull’acqua”.

Matt Glover-Ellin Oliver Keene (eds), The Teacher you want to be, Heinemann, pp. 234 € 31


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