“Peggio di ieri, meglio di domani”. Potrebbe essere questa, in sei parole, la descrizione di come siano andate le cose nell’industria editoriale italiana dell’ultimo decennio, e di come continuino ad andare anche oggi.
Inizia così il Rapporto 2014 sull’industria dei quotidiani in Italia, realizzato dall’Associazione Stampatori Italiana Giornali [Asig] e dall’Osservatorio tecnico Carlo Lombardi per i quotidiani e le agenzie di informazione, presentato questo fine settimana durante Wan-Ifra Italia 2014.
La desk research si compone di 5 capitoli: Il mercato dei lettori, il mercato pubblicitario, gli indicatori economici, la rete produttiva, occupazione e retribuzioni poligrafiche, anagrafe dell’industria editoriale, per un totale di 91 pagine assolutamente da leggere con la dovuta attenzione.
Oggi in Italia si vendono poco più della metà delle copie che si vendevano vent’anni fa. Dal 1990, anno del massimo storico diffusionale con poco meno di sette milioni di copie giornaliere, si è scesi progressivamente sino ad arrivare attualmente a meno di quattro milioni di copie; un calo del 45.3%. È chiaro che dunque la crisi dei giornali venga da lontano. Il digitale ha soltanto acuito problemi già esistenti e manifesti.
Il consolidato del primo semestre 2014 mostra come rispetto al totale della diffusione utile [vendite cartacee, abbonamenti pagati, vendita copie digitali], il digitale rappresenta ancora una quota modesta [12%], contro l’80% delle vendite in edicola e l’8% degli abbonamenti onerosi, a pagamento.
Gli investimenti pubblicitari, tra il 2004 ed il 2013, sulla stampa [quotidiani + periodici] si riducono di oltre la metà. Quello che colpisce in particolare è l’andamento del fatturato medio per modulo pubblicitario che crolla del 54.4%. Il calo è dunque maggiormente legato al crollo dei listini praticati più che alla vendita di spazi pubblicitari di per se. Insomma, nel complesso, si vende lo stesso numero di spazi ma ad un valore drasticamente più basso.
I prodotti e servizi digitali rappresentano una nuova fonte di ricavo per l’industria editoriale, ma la strada da percorrere perché il business editoriale possa sostenersi soltanto — o in prevalenza — sul digitale è ancora molto lunga. La quota di fatturato rappresentata attualmente dalla vendita di prodotti, servizi e pubblicità digitale da parte delle aziende editrici di quotidiani di tutto il mondo è del 7%, e si prevede che tra oggi e il 2017 questa percentuale possa salire a non oltre il 10% del fatturato complessivo.
Il costo del lavoro, di cui tanto si è discusso con il Presidente dell’OdG Enzo Iacopino e Franco Siddi, Segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, durante la presentazione del rapporto dell’Ordine dei Giornalisti sul Giornalismo Digitale in Italia, rappresenta il 35% del totale dei costi nelle aziende editrici di quotidiani. Sono invece i servizi, che per le imprese editoriali sono costituiti essenzialmente dal servizio di distribuzione delle copie e dalla stampa presso terzi per quegli editori che non dispongono di centri stampa gestiti direttamente.
Come dicevo durante la presentazione, e come ho sottolineato in molte altre occasioni, lavorare, finalmente, all’informatizzazione delle edicole, al di là di ogni altra possibile considerazione, porterebbe un saving significativo sulla distribuzione e sui costi delle rese che andrebbe ad impattare direttamente sui ricavi.