Magazine Cultura

Pelagia

Creato il 03 febbraio 2012 da Cultura Salentina
iperbole

Enea POLIMENO, "Parabola-Iperbole" (2011)

di Elibelinde

Un fievole venticello fresco cerca di tenermi desto nonostante una vertigine cerchi in tutti i modi di spingermi nel buio tunnel dell’incoscienza. Riesco ancora a percepire il profumo frizzante del mare ma la vista continua a sdoppiarsi, sento venir via le forze … ho sonno. La vertigine mi assale, dolci pensieri regolano il battito del mio cuore, una forza misteriosa mi rende leggero, il respiro è quieto, le mie membra giacciono inerti sulla sabbia … Mi allontano da loro e vado verso quella roccia liscia lambita dalle onde, voglio sedermi lassù e aspettare che il sole risorga su questo luogo di partenze e di arrivi. La cadenza di una quieta risacca è musica in quel ballo di onde dove quel fluido movimento si fonde con l’immobilità del mio piccolo scoglio. Le mie membra sono scomparse, inghiottite nelle mie stesse tenebre o, chissà, divorate dal mare della cui calma non ti puoi mai fidare. Ma chi se ne importa quale sia stata la fine della mia materialità, ora sono altro … forse un sogno, forse un’anima, forse un microcosmo, forse un sistema nel sistema. Non m’importa, ora posso anche cadere in acqua e non affogherò!

Selène è là fissa nel cielo, suo fratello Eliòs le dona la luce ma non può darle il calore e così lei è fredda, triste, costretta a illuminare da sola il percorso tra le tenebre. Sulla battigia delle orme, le onde non arrivano a cancellarle, in lontananza una donna avvolta nel suo velo bianco di pizzi … Si sta avvicinando … Nella sua mano una rosa “rosa” piegata su se stessa, quasi morta, mentre le spine, alquanto vive, continuano a ferire e far grondare sangue. Ella incede, è ancor più vicina, è radiosa e non si cura del suo martirio ma è triste, lo leggo nei suoi occhi. La sua luce così vicina mi acceca. Il mio corpo è lì, basterebbe riprenderlo per farmi vedere ma non voglio perché perderei l’incanto di quella luce. Va via silenziosamente, risale l’irta scogliera e prosegue lungo quel sentiero in cima al quale c’è la sua capanna. La seguo da lontano.

Lei è là ora, in quella sua casa, sola, fantastica nel suo tutto essere. Appoggia le braccia sul tavolo e su di esse posa il viso … guarda quella rosa … chiude gli occhi, una lacrima taglia la sua guancia … Io riprendo le mie membra, salgo sulla piccola barchetta che mi aspetta sulla spiaggia … è ora di partire… il mio vecchio porto mi aspetta col frutto del nostro amore.

Pelagia ha riaperto gli occhi … fissa un punto preciso, sulla parete bianca, sempre lo stesso punto, da anni, ne conosce ogni piccolissima imperfezione ormai, e quella familiarità la fa sentire protetta, a ‘casa’…quante volte, troppe volte, ha cercato lì sul quel muro i perché, le risposte a mille domande, una ragione al dolore, una speranza al suo domani…ma ora è lì, gli occhi fissi che guardano ma non vedono, a tenersi stretta, nelle sue stesse braccia, per non far andare via quello strano brivido che, un attimo prima, le aveva percorso ogni centimetro di pelle…lo aveva sentito…chi?…cosa?…non riusciva a mettere a fuoco un’idea…ma lo aveva sentito…nelle ossa, in ogni piega, nei capelli, nel petto, dentro, dentro, dentro…e il cuore sembrava volerle sfondare tutto per potersi liberare da quella gabbia, e volare via…chiuse gli occhi, ma non era buio, si sentì leggera come mai…sapeva che domani, il cielo avrebbe avuto un altro colore, e anche il mare, e anche la strada di casa non sarebbe stata più la stessa… Si alza, si sistema il vestito cercando di stirare le pieghe con le mani, incurante del sangue che ancora sgorgava dalle piccole ferite…prende la rosa e la sistema nei capelli, lentamente si avvicina alla finestra…di nuovo quel brivido, ancora più forte, e quella luce, ancora più intensa…e lo sente, ancora una volta..le mani non sanguinano più…vede il mare e una piccola barca che si allontana…avrebbe voglia di gridare per farsi sentire, con tutta la voce e con tutta l’anima, invece inizia a cantare…sottovoce, per non rovinare l’incanto di quel momento…affida al vento il suo dolcissimo struggimento e sa che quelle note arriveranno a lui…


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazine