Alcuni giorni fa, su invito di Alessia Napolitano (libreria RadiceLabirinto), ho partecipato, a Marzaglia, ad un incontro inserito nel ricco programma del Festival della Fiaba che si è concluso domenica scorsa. Il tema del mio intervento era l’armadio delle fiabe: trame, orditi, tessuti, abiti da indossare. L’occasione mi ha portato a rileggere “Pelle d’asino”, una fiaba che da bambina non volevo ascoltare. Sentivo dolore e tristezza nel racconto delle vicende della sfortunata principessa e, nel mio immaginario infantile, la pelle d’asino che celava un essere umano, era un’immagine terribile (forse aiutata da un brutto visivo). Nella rilettura ho trovato un testo straordinario, una fiaba complessa che mette in campo un potenziale incesto, l’amore filiale, la virtù, il dolore. Ho trovato sarti capaci di tessere abiti impossibili in cui sono racchiuse le sfumature del cielo, il colore della luna e lo splendore del sole. Abiti da sogno, adatti alla principessa più bella che sceglie, di fronte all’insano amore del padre, la fuga. Una fuga protetta da uno speciale mantello realizzato con la pelle irsuta dell’asino fatato. Un mantello che nasconde l’identità, che cela la bellezza, un mantello asinino motivo di scherno e di esclusione sociale. L’ho riletto nella bella traduzione in versi di Maria Vidale, pubblicata in Tutte le fiabe, edizioni Donzelli, accompagnata dalle figure di Élodie Nouhen, illustratrice francese abile nella tecnica e fine interprete dello spirito delle fiabe di Charles Perrault destinate alla corte del Re Sole prima, e all’ascolto di tutti poi. Una fiaba dell’essere e dell’apparire che nelle parole evoca la tavolozza dei colori di Antoine Watteau e, al contempo, dichiara il coraggio, la forza dell’innocenza, la statura morale.
Silvana Sola