Il tuo mestiere era allungare con i denti pelli stravecchie e mordere vecchie suole marcite nel fango: ora possiedi le campagne prenestine del tuo defunto patrono. Io riterrei sconveniente se in quei luoghi tu avessi avuto anche solo una stanzetta e invece, ubriaco di generoso Falerno, spezzi coppe di cristallo e ti abbandoni alla lascivia col coppiere del tuo padrone. I miei sprovveduti genitori mi hanno dato un po’ di cultura: che cosa avevo a che fare io con i grammatici e i retori? Rompi la penna di nessun valore e fai a pezzi i libretti, Talia, se un calzare può rendere tanto a un calzolaio! (con la cultura non ci si arricchisce di Marziale).
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A ROMA
Degna nutrice de le chiare genti,
Ch’a i dì men foschi trionfar del mondo;
Albergo già di Dei fido e giocondo,
Or di lagrime triste e di lamenti:
Come posso udir io le tue dolenti
Voci, o mirar senza dolor profondo
Il sommo imperio tuo caduto al fondo,
Tante tue pompe e tanti pregi spenti?
Tal, così ancella, maestà riserbi,
E sì dentro al mio cor suona il tuo nome,
Ch’i tuoi sparsi vestigi inchino e adoro.
Che fu a vederti in tanti onor superbi
Seder reina e incoronata d’oro
Le gloriose e venerabil chiome?
-Giovanni Guidiccioni-
(1500 - 1541)
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