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Ecco qui il risultato: dopo un decennio di azzardate politiche culturali, culturali si fa per dire, improntate al nostalgismo in brache alla zuava, l’orologio della storia torna prepotentemente indietro.
L’astratto ideologismo panaustriacante informa anche le celebrazioni del Centenario della Grande Guerra, affidato manipolatoriamente a parole vuote di senso come pacificazione e fratellanza. Ci si dimentica che la pace è stata conclusa un secolo fa, più o meno. E che da allora le popolazioni italiane di lingua italiana sono tornate ad avere una patria e una casa. E un’epoca, quella dei grandi imperi, si spegneva per lasciare il passo al Novecento e agli stati nazionali. Da allora il Trentino ha instaurati normali e talvolta perfino affettuosi rapporti diplomatici con l’Austria.
Ma oggi si torna indietro. Rifugiandosi dietro il comodo paravento revisionista della pace e della fratellanza, come se nulla fosse accaduto. Come se tutti avessero avuto ragione. Come se tutti avessero combattuto dalla parte giusta. Come se. Ma non è così. Dietro questa impostazione, progettata e ideata da un politico che oggi si ritrova incomprensibilmente in Senato e da uno storico di partito che oggi si ritrova comprensibilmente in Consiglio Provinciale, c’è stata una dolosa intenzionalità equiparativa, ispirata ad una scuola nostalgicamente revisionistica. Che fa a pugni con la storia, con la cultura e perfino con il buon senso.
Ma tant’è: oggi i pennuti austriacanti, figure semisconosciute al Trentino fino a pochi anni fa e allevate in batteria per finalità politiche fin troppo comprensibili, trascendono la loro naturale funzione folklorica e assumono dignità di interlocutore politico e culturale in nome della pacificazione (?) e della fratellanza (?) e riportano le lancette dell’orologio indietro di cento anni.
In un silenzio delle parole e delle opinioni che assomiglia ad un deserto delle idee. E della memoria.