“Pensare al solido!” Ecco la morale ironica di questo libro, il cui autore sapeva anche troppo che cosa significhi mancare della solidità, della saldezza sociale, del peso specifico borghese. L’ombra di Peter Schlemihl è divenuta il simbolo di ogni solidità borghese e di ogni relazione sociale. Viene nominata insieme al denaro, come ciò che conviene onorare se si vuol vivere tra gli uomini e di cui si può fare a meno soltanto qualora s’intenda vivere per sé e per il proprio io migliore. Ai borghesi, come diremmo oggi, ai “filistei” come dicevano i romantici, va il monito ironico:”Songez au solide!” Ma ironia significa quasi sempre trasformare una necessità in una superiorità, e tutto il libretto, il quale non è altro che una rappresentazione profondamente vissuta dei dolori di un escluso, di un marcato, dimostra che il giovane Chamisso sapeva ben dolorosamente apprezzare il valore di una sana ombra.
Thomas Mann
La traversata monotona, tediosa nella sua prevedibilità, volgeva finalmente al termine; il battello mi scaricò a terra, presi le mie poche cose e facendomi largo tra il brulichio della folla cercai l’insegna di una locanda. Ne trovai una modestissima nelle immediate vicinanze del porto e chiesi una stanza; l’inserviente mi soppesò con un’occhiata e mi guidò quindi in una specie di soffitta. Ordinai dell’acqua fresca e chiesi informazioni precise sulla residenza del signor Thomas John.
“Dovete uscire dalla porta settentrionale,” mi fu risposto. “Lo troverete nella prima villa a destra: è quel grande fabbricato moderno, in marmo bianco e rosso, con tante colonne.”
“Bene.”
Era ancora presto, sciolsi il mio fagotto traendone fuori l’abito nero che avevo fatto rivoltare da poco, mi vestii con cura, misi in tasca una lettera di raccomandazione per il signor Thomas John e mi avviai per la strada indicatami: mia meta era la casa di un uomo che avrebbe dovuto assecondare le mie modeste speranze.
Risalita la lunga strada Nord e raggiunta la porta settentrionale vidi subito delle colonne lucenti in mezzo al verde. “Ci siamo” pensai. Col fazzoletto diedi una ripulita alle scarpe, mi aggiustai la cravatta e suonai il campanello, raccomandandomi a Dio.
La porta si aprì. Sulla soglia dovetti subire un interrogatorio, poi il portiere si decise a farmi annunciare ed ebbi l’onore di essere invitato nel parco, dove l signor John intratteneva una piccola cerchia di amici. Non si potevano aver dubbi sulla sua identità, tanto primeggiava tra gli altri per la sua boria corpulenta. Mi accolse con quella magnanimità che i ricchi nutrono verso i poveri diavoli. Si degnò persino di rivolgermi la parola – senza però abbandonare il resto della comitiva – e prese la lettera che gli porgevo.
“Senti, senti! E’ di mio fratello! Non ne ho notizie da un bel po’: sta bene?…” e senza attendere risposta si rivolve agli altri, servendosi della mia lettera per indicare una piccola altura sulla quale aveva intenzione di farsi costruire una nuova villa. Dissuggellò la missiva senza interrompere il suo monologo, che verteva sul tema della ricchezza e lo udii affermare che chi non possedeva almeno un milione doveva considerarsi, scusatemi amici… un farabutto.
“E’ proprio vero!” non seppi trattenermi dall’esclamare con foga. Il mio entusiasmo dovette piacergli. Infatti mi sorrise, e alludendo alla lettera di raccomandazione, mi pregò amichevolmente di trattenermi, perché in seguito avremmo forse avuto modo di parlarne. A questo punto la lettera sparì nelle sue tasche ed egli si dedicò nuovamente gli ospiti, offrì il braccio ad una giovane dama; sul suo esempio si formarono altre coppie e ci si avviò così verso il colle fiorito di rose. Quanto a me seguivo la comitiva senza dar fastidio perché nessuno si curava più della mia presenza.