Il secondo motivo per cui ho amato questo film, pur conscio di alcuni limiti come la lentezza e la verbosità – che però non cancellano l’impronta dell’autore, di cui sono caratteristiche – è il ricordo che mi sovverrà di Pino Daniele quando ci ripenserò, nello stesso modo in cui mi tornava in mente Massimo Troisi quando pensavo al cantautore napoletano. La colonna musicale della storia, infatti, ruota intorno al tema di Quando, che il musicista ha composto per l’amico regista (Troisi spesso diceva che, quando Pino Daniele scriveva una canzone, era lui che avrebbe dovuto scriverci un film) e che fa capolino nei momenti in cui i personaggi si confessano, fanno le riflessioni più amare. La sua dolcezza stride piacevolmente con il tono ironico della narrazione, meno comica e ancora più riflessiva rispetto alla produzione precedente, e impreziosisce un racconto tanto malinconico. Il finale, però, è molto più lieto di quanto non si potrebbe pensare, a una prima occhiata. Sempre che non ci fermiamo in superficie. Perché quando Tommaso dice che non ricorda se ama o ha amato Cecilia, quando rivendica di non volerla sposare perché, senza tanti fronzoli, non è il matrimonio che fa l’amore – anzi, spesso lo uccide – lo pensa davvero, non sta facendo del sarcasmo. “Un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro” dice, anticipando il pensiero della sua fidanzata. Perché è giusto convivere e stare bene insieme, senza sentirsi soggiogati da un vincolo che nessuno può imporre all’uomo, animale volubile per eccellenza. E non c’è niente di male ad ammetterlo, a non forzare la sua natura: questo, forse, è il gesto d’amore più grande.
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