Pensavo fosse amore, invece era un gatto in autostrada

Creato il 28 luglio 2014 da Marianocervone @marianocervone
Le mie storie d’amore hanno la stessa aspettativa di vita di un gatto in autostrada. Diciamoci la verità, un cinico passa un’intera vita a convincersi che l’amore sia solo una bugia per scatole di cioccolatini, una mera illusione, che quando ti succede sei incredulo, scettico dinanzi a quelle sensazioni, quasi estranee, che provo, che sono lì, che sono vere. Un po’ come per quegli uomini del mito di Platone, lo conoscete? Quello secondo il quale alcuni prigionieri, incatenati in una caverna, vedevano soltanto delle ombre sul muro e credevano che quella fosse la realtà. Io sono così, diffidente come un uccellino che ha paura di lasciare il nido, di lanciarsi nel vuoto e volare. Poi incontri quegli occhi che ti guardano come se fossi l’unico al mondo, e allora ti lasci guidare pian piano da quei sentimenti, da quei gesti, da quelle parole che fanno sì che qualcuno si insinui nella tua vita, e che ti mostri il mondo “in coppia”, come sull’Arca di Noè: con quei piccoli progetti, con quelle piccole promesse fatte sottovoce, con quei grandi sogni davanti alla vetrina di un antiquario dove guardi un suppellettile immaginando già una casa insieme. E poi quella quotidianità, che con facebook, WhatsApp si fa più intensa, frequente. Tag, like, commenti. “cosa fai?”, “dove sei?”, “mi pensi?”, “messaggiami quando arrivi”, “ti scrivo quando sono a casa” ed una sequela di parole che improvvisamente ti persuadono che sia quella la tua vita, che sta prendendo una piega diversa, che c’è chi fa la differenza in un mondo mediocre fatto di superficialità. Ristoranti giapponesi, cenette, sguardi, mani che s’intrecciano, giri in moto d’estate in una città addormentata e stanca, che ti fa rivivere quasi la magia di quelle “Vacanze Romane” à la Audrey Hepburn viste soltanto al cinema. E poi baci rubati, sguardi complici, pelle, intimità. A due settimane dal primo appuntamento cominci a guardare il mondo con occhi nuovi, fino ad una inspiegabile battuta d’arresto: una fine repentina quanto inaspettata. Ti senti deluso, tradito, arrabbiato per aver creduto a quelle parole, per esserti lasciato ammaliare da quei sogni, per aver abbandonato quella corazza di cinismo con cui ti proteggevi, permettendo ad una persona di cui ti fidavi di calpestare il tuo cuore, di calciarlo fuori dalla sua vita come una lattina di birra sul marciapiede. E così quelle uscite si trasformano in ricordi, quei messaggini in assenza, quelle parole in inganni vuoti senza senso. Ed è in quel momento che, come gli uomini di Platone, vorresti ritornartene nella tua caverna in catene, vorresti non sapere, startene al buio, e osservare il mondo solo attraverso quelle ombre che in qualche modo ti proteggevano.

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