Un momento di calma e pace. Durerà poco e poi impazzirò di nuovo. Sacrifici su sacrifici, imparare lavori che non sai fare, scoprire che non sai fare il tuo lavoro. Prendere dimestichezza con termini di cui non avevi mai sentito parlare, ingoiare le facce storte dei tuoi capi, sforzarsi di sorridere anche quando va tutto una merda, sapere che sei comunque sottopagato ma ti viene chiesto l’impossibile, non essere d’accordo sulle cagate che fanno i tuoi capi e non poterlo dire come vorresti e vivere per il venerdì. Sì, vivere per il venerdì, è forse il lato più orribile del faticare.
Per 1000 euro al mese si fa tutto ciò. E poi ti ritrovi a fine mese a contarti gli spiccioli in tasca, oltre ai minuti di tempo libero. Il lavoro è questo, o meglio, può essere questo: un giorno vorrei uno spazio tutto mio (e non so nemmeno di che tipo) perché sono portato a lamentarmi. Fatico poco e mi rompo le palle, fatico tanto e mi rompo le palle. Vorrei viaggiare, andare, vedere il mondo. Nel viaggio credo ci sia il senso supremo della vita: per la serie, sono qui e mi voglio vedere ogni singolo angolo di quello che ho. Guardo fuori dalla finestra del mio ufficio: uno stralcio di un palazzo, una casalinga sbatte il suo swiffer dal balcone. Il cielo azzurro è pallido e la gente lavora come me, chi per strada, chi in altri uffici chi imprecando in macchina. E intanto il tempo scorre. Voglia di aria fresca sulla faccia, in mezzo al mare, sconfinato, in movimento.
Meno male che domani è venerdì. Ma poi finirà, si ricomincerà e si attenderà un altro venerdì. La vita è fatta di cicli, o meglio, la vita che noi esseri umani ci siamo creati: per quei 1000 euro al mese.