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Pensieri erranti intorno alla Filologia

Creato il 30 gennaio 2011 da Pinaimperato

Avete mai sentito parlare di John Chadwick e di Michael Ventris? Sono due signori britannici che esercitarono il “mestiere” del filologo. Ventris in realtà era un architetto prestato alla Filologia con una gran passione per le civiltà protostoriche dell'Egeo nell'Età del Bronzo. Mi riferisco alle Civiltà Palaziali, note col nome di Civiltà Minoica o Cretese e Civiltà Micenea. La Civiltà Minoica fiorì a Creta nel secondo millennio avanti Cristo. Si chiama Civiltà Palaziale perché il centro politico, amministrativo e religioso era un palazzo dalla struttura complessa e razionale a un tempo. Gli esemplari dei palazzi minoici si possono oggi visitare, a Creta, nei resti di Cnosso, Festo, Mallia e Haghia Triada. Quello di Cnosso è noto come Palazzo di Minosse ed anche come “Labirinto”. Il Labirinto di Cnosso evoca il mito dell'architetto Dedalo, del Minotauro e di Teseo e Arianna. Eppure il termine labirinto ha come etimo il vocabolo greco λάβρυς “labrys” ovvero la bipenne, simbolo sacro ripetutamente disegnato sulle pareti del palazzo di Cnosso. Del resto il termine λαβύρινθος “labyrinthos” si ritrova anche nelle tavolette in lineare B nella forma “da-pu-ri-to”. Come salta agli occhi dalla parola “da-pu-ri-to” traslitterata nel nostro alfabeto, la Lineare B è una scrittura sillabica che proprio John Chadwick e Michael Ventris decifrarono negli anni cinquanta del secolo scorso, scoprendo che essa celava un dialetto greco preomerico, ovvero la lingua degli Achei Micenei, e, quindi dei mitici Atridi, dei quali, un secolo prima all'incirca, nelle rovine della peloponnesiaca Micene, Einrich Schliemann aveva scoperto le tombe e le auree maschere funebri.
La scrittura lineare B gli indeuropei Achei l'avevano appresa dai contatti con il mediterraneo popolo minoico. Infatti, negli archivi dei Palazzi minoici sono state rinvenute miriadi di tavolette d'argilla tracciate da una scrittura chiamata Lineare A, tuttora non decifrata, che cela una lingua sconosciuta.
Chadwick e Ventris riuscirono a decifrare la Lineare B ipotizzando che in essa si celasse un dialetto greco. Avevano ragione! E così, grazie a loro, la lingua omerica è stata illuminata storicamente sul piano lessicale e morfologico, rivelandosi come una straordinaria voce continua, eco mirabile che ha valicato i secoli bui del medioevo ellenico, come un ponte sonoro tra gli uomini di Agamennone e i cittadini delle Pòleis nascenti sulle coste dell'Asia Minore.
È bene a questo punto sapere che le tavolette in scrittura lineare contengono solamente elenchi di cose e persone e costituiscono, pertanto, una documentazione amministrativa dei Palazzi. Ribadisco che, grazie ai due filologi sopra nominati, noi siamo in grado di leggere soltanto i testi redatti in Lineare B ossia quelli attribuibili agli scribi degli agguerriti palazzi micenei. L'alfabeto della scrittura Lineare B è sillabico. Un alfabeto sillabico è quello i cui segni non rimandano ad un suono semplice, ma ad un suono sillabico. Ciò comporta che, necessariamente, le scritture Lineari siano costituite da molti segni, una ottantina circa nel caso della Lineare B. Comprendiamo, quindi, quanto sia stata importante l'invenzione dell'agevole alfabeto di ventiquattro lettere che, intorno al nono secolo avanti Cristo, i Greci d'Asia mutuarono dai Fenici, perfezionandolo con l'aggiunta delle vocali. A questo alfabeto, appreso successivamente dai Romani grazie alla mediazione etrusca, risalgono tutte le scritture europee.
Mentre scrivo battendo sui tasti del computer mi stupisco di questo racconto che tenta di attraversare una traccia essenziale della millenaria storia della scrittura. Mi stupisco soprattutto del lavoro paziente dei filologi che dedicano la vita alla ricerca e allo studio dei testi. I filologi fanno risuonare la voce del passato. La decifrazione della Lineare B ci permette di dar vita a parole antichissime che, con lievi mutazioni fonetiche, sono attestate nei poemi omerici. Per esempio, nelle tavolette micenee di Cnosso e dei siti dei Palazzi del Peloponneso compare il termine “wa-na-ka” (è questa la traslitterazione della parola scritta in Lineare B attestata nelle tavolette). Wa-na-ka designa il personaggio al vertice della gerarchia direzionale della società micenea. È il re per eccellenza, superiore a colui che nei poemi di Omero è chiamato con il termine greco corrispondente “ἂναξ” “anax” (ricordiamo che Agamennone con una espressione formulare è detto “ἂναξ ἀνδρῶν” “anax andròn” “signore degli uomini),
ma allo stesso “βασιλεύς” “basilèus”, il termine con il quale Omero designa il “re”.
Le mie annotazioni non possono essere esaustive sull'argomento della Filologia Micenea. In proposito i lettori, se lo vorranno, potranno documentarsi a partire dal fondamentale articolo intitolato "Evidence for Greek Dialect in the Mycenaean Archives" di John Chadwick e Michael Ventris.
Piuttosto, dopo aver svegliato la memoria del lavoro filologico dedicato alla scoperta di antiche civiltà, mi soffermo a considerare come la scrittura serbi i suoni nel tempo. La traccia convenzionale dei segni cela suoni e sensi. La Filologia è la scienza dei testi, è l'arte di interpretare con rigore, umiltà e amorevole cura i testi del passato per restituire il suono autentico delle parole.
Il filologo si mette per i sentieri della storia a partire da quei segni che decifra e interpreta. Pertanto, mi sembra che la Filologia muova le onde sonore impresse nel tempo. La filologia è una scienza del “sacro”. E, a tal proposito, ricordo il valore sacrale delle prime scritture e l'eccezionale importanza degli scribi nel mondo antico. E sacra mi pare la parola stessa: "Filologia", ovvero "amore della parola", equivalente ad amore dell'umanità.
I pensieri erranti sfociano nella speranza che si torni in tanti a dedicarci a questa Scienza, diffondendone il desiderio tra le giovani generazioni.
Siano le sacre parole di una poetessa l'epigrafe conclusiva del mio testo!Una Parola fatta Carne è di rado
E tremando condivisa
Né forse allora riportata
Ma non avrò dunque sbagliato
Ciascun di noi ha assaporato
Con estasi segreta
Proprio quel dibattuto cibo
Secondo nostra specifica forza -
Una Parola che respira chiaramente
Non ha potere di morire
Coesiva quanto lo Spirito
Può spirare se Egli -
"Fatto Carne e vissuto tra di noi"
Fosse condiscendenza
Come questo consenso del Linguaggio
Quest'amata Filologia
(Emily Dickinson,Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1666)

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