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Pensieri sconnessi di una disadattata che legge Bilal, di Fabrizio Gatti

Creato il 28 ottobre 2013 da Hennanight
Chi viene e chi va. Chi vuole andare, ma non può. Chi vuole andare, ma non ha il coraggio. Chi vuole restare, ma non può. Chi vuole restare, ma non ha il coraggio. Chi è partito, ma sogna di tornare. Chi è partito e non si guarda indietro. Chi è tornato, ma rimpiange di averlo fatto. Chi è tornato e rimpiange di essere partito. E mille milioni di altre sfumature. Ma non è così che si è sempre mosso il mondo? Andare e conquistare o restare e difendere. E i mille milioni di altre sfumature tra i due estremi, che sono poi forse le facce della stessa medaglia. Alcuni miei corregionali si attaccano al campanile per difendere il territorio dall’invasione islamica e guardano con diffidenza i personaggi un po’ hippie che vivono all’estero. Partiti per conquistare un posto di lavoro o per soddisfare una curiosità. [Che poi estero. Per quanto euroscettici possiamo essere diventati, ci consideriamo veramente così diversi da uno spagnolo o un tedesco? Sì, le differenze ci sono e grazie al cielo, ma non ditemi che quando vi trovate a Parigi avete la stessa sensazione di quando siete a Colombo.] Partire è sempre un po’ morire. Lo è per una mamma che, in preparazione dell’unica settimana di vacanza annuale, deve occuparsi di valigie e vettovaglie per quattro o cinque persone e ricordarsi anche di chiudere il gas, ma lo è anche per chi la vita la perde davvero tentando la traversata della vita, scappando dalla guerra o semplicemente cercando un futuro migliore. Partire è anche un po’ rinascere. Per me, che ho il trolley come coperta di Linus e per chi riesce anche solo a sperare in un futuro migliore.
“Ma resterai lì per sempre?”
Ma come fai a fare certe domande? Non so neppure a che ora uscirò dal lavoro stasera e mi fai una domanda sul per sempre? Ma io ti ho mai chiesto se lavorerai alle Poste per sempre? Ah già, forse l’ho dato per scontato. Hai ragione. Mea culpa. Forse sono io che ti ho sottovalutato. Però pensavo che fossi felice con il tuo posto di lavoro a tempo indeterminato e il tuo mutuo a tasso fisso. Eh, mi pareva. Era quello che volevi, no? Cavolo, sono felice per te. Quindi rimarrai alle Poste per sempre? Sì, certo, magari un giorno diventerai direttore, te lo auguro.
No, non ho un contratto a tempo indeterminato. In effetti sono in affitto, sì. Torno spesso in vacanza, a trovare la mia famiglia. Certo, mi mancano, ma li sento spesso. Lo so, non è la stessa cosa, ma anche loro vengono spesso a trovarmi. No, non è così lontano, solo un’ora e quindici minuti di volo. Mi mancano i bar e i funghi porcini. Non lo so se tornerò mai a lavorare in Italia. Dipende. Mah, suppongo dall’occasione, dalla contingenza, dalla necessità. Magari andrò a Singapore o a Minneapolis o a Harare. Anche se ti sembro pazza devi proprio assumere quello sguardo di disapprovazione? Non sto dicendo che tu hai scelto male e io bene, sto solo dicendo che io non ti giudico. Non commento. Non sgrano gli occhi. Vengo dal tuo stesso background e capisco il tuo punto di vista. Non lo condivido, o forse semplicemente non è arrivato il mio momento, ma vuoi scendere dal piedistallo? Ci sono stati un paio di momenti in cui ho pensato “ok, mi fermo”. Ma poi sono sempre ripartita. Sarò anche una disadattata, come probabilmente pensi, ma giuro che non sporco e non faccio del male. Adesso capisco.
Se i miei piccoli spostamenti dettati dalla voglia di crescere e sperimentare, resi facilissimi dal mio passaporto bordeaux, destano questi turbamenti, come posso aspettarmi che tu possa minimamente cercare di comprendere le motivazioni che portano un somalo a prendere la via del deserto e poi del mare per cercare una chance? Probabilmente mi risponderai che il somalo non ha nessun visto nel suo passaporto, forse non ha neanche passaporto, che probabilmente sporca e che quasi certamente farà del male. E io, nella mia piccolezza e nella mia follia di giramondo (magari), come posso confutarti? Se non vieni nemmeno verso la mia stranezza, come puoi spingerti verso la diversità più totalizzante? Mi spiace, ti devo archiviare fra quelli “che non ci arrivano”. E non è un complimento. Io mi offenderei. Te lo dico da amica. Leggiti questo libro. Pensieri sconnessi di una disadattata che legge Bilal, di Fabrizio Gatti

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