PENSIERI SPARSI SULLA MUSICA
La struttura della filosofia estetica è complessa, articolata e non corale. I grandi trattati di filosofia estetica non hanno più senso. Penso che si debba cercare di comprendere l’estetico a partire dai racconti degli artisti, dei poeti, dei compositori, dalle nostre esperienze e dalle esperienze altrui come ascoltatori, lettori, ecc.
Testi come quelli di Schoenberg, di Stravinskij, di Kandinskij, i manifesti della avanguardie, le testimonianze degli artisti sono i veri trattati di filosofia estetica del secolo scorso. Trattati che, in qualche maniera, cercano di uscire dalle concezioni romantiche che avevano verso l’arte una percezione mistica che Cassirer avrebbe considerata religiosa e mitica. Ma forse bisogna spingersi ancora più avanti.
Consideriamo, ad esempio, la musica. Si sente abbastanza spesso dire che il secolo trascorso non ha prodotto opere grandi come quelli del secolo precedente ma credo che questo sia vero solo in parte.Pur convinto che il nuovo ciclo di musica nascerà sia dalla cosiddetta musica colta sia dai complessi rock e jazz, non è assolutamente vero che la musica considerata "classica", almeno nella prima metà del secolo scorso, non abbia prodotto capolavori. Lo testimoniano le opere di Stravinskij, di Strauss, di Prokofiev, di Janacek, di Puccini, di Berg, di Schoenberg. Più difficile e più problematico appare il panorama della seconda parte del secolo. Si parla tanto di arte-arte.arte" "Cultura-cultura-cultura", di "giacimenti culturali" ma poi l'interazione fra le varie componenti, ad esempio, del teatro d'opera (spettatori, artisti, dirigenza) fa sì che vengano sempre rappresentate le stesse opere per lo più appartenenti al repertorio dell’ottocento. Oltretutto sembra che i nuovi divi siano non i compositori ma i registi e i direttori d'orchestra e, mentre il compositore va perdendo sempre più importanza, i nuovi compositori non vengono rappresentati. Come facciamo a conoscerli se non vengono rappresentati? Come possiamo dire che la seconda parte del novecento è un deserto, se non ne conosciamo le opere? La cosa è ancor più sconcertante se si considera che non solo i nuovi ma anche i “vecchi” non vengono rappresentati. Al di fuori del repertorio dell'Ottocento si rappresentano ben poche cose. Opere come il Battista di Stradella o il Jefta di Carissimi chi li ha mai viste in cartellone? E’ vero che sono oratori, e non opere liriche, ma anche l’Oedipus Rex di Stravinskij è un oratorio e, nonostante ciò, viene rappresentato in teatro. Ai compositori vorrei fare due appunti.Il primo riguarda il loro sforzo informativo. Le prime avanguardie artistiche con articoli, con saggi, con manifesti cercavano di comunicare col pubblico e di spiegare i nuovi linguaggi. Questo rispetto verso il pubblico mi sembra gradualmente venuto meno. Il secondo riguarda l'atteggiamento verso il popolo del rock.Da giovane vedevo a Sanremo i cantanti sorretti da una orchestra costosissima, quasi come un’orchestra classica. Poi arrivarono i giovani beats che s’inventarono i complessi. Quattro, cinque artisti che suonavano strumenti elettronici, che provavano nelle loro cantine, e che, grazie all’amplificazione elettronica, potevano farsi udire da un mare di persone.
Fu una grande innovazione perché riuscirono, senza costi stratosferici, a esprimere la loro musica.
Oggi quei complessi pioneristici sono in grado di far ascoltare la loro musica da migliaia di persone senza gli enormi costi dei sistemi tradizionali. Non solo non chiedono contributi allo stato, ma hanno contribuito enormemente al progresso tecnologico della strumentazione musicale elettronica e della diffusione di piccoli e grandi volumi.
La musica istituzionalizzata, la cosiddetta classica, non ha imparato questa lezione e ha, invece imboccato un linguaggio difficile, elitario, compreso solo da cerchie ristrette. Un linguaggio sempre più privato che si avvia, forse, al mutismo.
Qualcosa di simile era già successo nel passaggio dall’alto medioevo al rinascimento. La polifonia era diventata ormai così incredibilmente complessa e sofisticata da richiedere non solo molta dottrina ma un’intensa consuetudine d’ascolto per poter cogliere le singole melodie e il loro intrecciarsi. Tanto complessa da essere diventata incomprensibile alla pressoché totalità dei fedeli.
Quella era la musica cantata e ascoltata nelle chiese ma non certo quella del popolo. Trovadori e trovieri corrispondenti agli odierni cantautori componevano e cantavano non polifonie in latino ma monodie nella lingua compresa dal popolo.La vecchia polifonia si estinse e la musica popolare generò quella grande stagione di musica che comprende Mozart, Wagner, Verdi. Dopo circa altri quattro secoli, le avanguardie hanno sconvolto il nuovo ordine. L’atonalità, la dodecafonia e ancora e ancora. Oggi è difficile negare che, come accadde allora, la musica “seria” sia musica per iniziati. Morte dell’arte? Neanche per sogno! I nuovi Mozart nasceranno non dalla musica colta, ormai muta, ma dalla musica popolare, dal Jazz, dal Gospel, dal Rock e anche da contaminazioni con la musica atonale e dodecafonica.
Certo non può che risultare stridente il paragone fra la gioia e l’entusiasmo con cui i giovani che sentono i complessi rock, cantando con loro, saltando e ritmando con il battito delle mani il loro entusiasmo e l’immobilità e il silenzio assoluto con cui gli spettatori-ascoltatori seguono i concerti e le opere liriche. Un mio amico sbeffeggia gli ascoltatori delle opere liriche come mummie ma sbaglia profondamente. Quelle musiche vennero scritte per essere sentite in silenzio religioso. I compositori e la cultura musicale volevano questo tipo di partecipazione; anzi questo tipo di “collaborazione”. Wagner volle l’orchestra nella fossa affinché nessuno venisse distratto da ciò che appariva sul palco. Al compositore Sacchini che teorizzava una diversità di composizione fra musica per teatro semplice, orecchiabile, popolare, senza modulazioni, Hofmann rispose che non esiste musica popolare e musica colta; che non esiste musica per il divertimento del pubblico e musica religiosa ma che TUTTA LA MUSICA È RELIGIOSA. Il silenzio e la presenza in silenziosa partecipazione fanno parte del DNA delle opere scritte in quell'ambiente culturale. Devono essere sentite con partecipato così come il Rock non può essere sentito che con quella partecipazione attiva a cui assistiamo.
Ho rammentato appena qualche circostanza ma molte altre che riguardano la varietà e la mutazione dei gusti fanno impallidire ogni idea di universalità e di atemporalità dell'arte. Per non parlare dell' "infinita interpretabilità dell'opera d'arte" di cui si sente parlare. Dopo varie letture o vari ascolti "l'infinità" muore o trasloca. Ciò che sopravviene è solo la saturazione per questo o quell'autore.
Sicuramente la natura dell'arte, oltre che non essere dotata di universalità, di eternità, di atemporalità, di "infinita interpretabilità" non è neppure corale.
Dal Battista di A. StradellaDa Jefta di G. Carissimi