In questi giorni la vita è stata più turbolenta del solito: come alcuni di voi avranno intuito, mi sto riferendo alla serie di scosse e scossine di terremoto che a partire da mercoledì scorso stanno scuotendo il nord Italia, e che hanno continuato fino a poche ore fa. Non certo da rimanere sepolti sotto le macerie, ma 5 gradi della scala Richter non sono comunque pochi: erano parecchi anni, perlomeno, che non me ne ricordavo di così forti.
Non mi considero una ragazza impressionabile che si fa prendere dal panico facilmente, ma quando la terra mi trema sotto i piedi è difficile anche per me rimanere impassibile.
Mercoledì, per esempio, quando è successo mi trovavo a scuola: per me e per i miei compagni era la prima volta che ci trovavamo a dover evacuare durante le lezioni, ed è forse per questo che la tensione, dalle mie parti, non è stata poca. Anche dopo essere scesi in cortile, aver constatato che eravamo tutti vivi e aver scherzato un poco per smorzare l’ansia (per esempio riguardo al fatto che la scossa avesse centrato, in tutta la spiegazione di fisica, il momento esatto in cui ormai avevamo rinunciato a capirci qualcosa), la tremarella ha continuato per un bel po’.
E l’altro ieri – dopo essermi illusa per tutto giovedì che finalmente avesse finito – la storia è ricominciata, più forte. Il fatto che l’abbia sentita di meno, nonostante quel paio di gradi in più della scala Richter, è dovuto al mio adorato Ludwig van Beethoven… No, non sto delirando, e vi spiego subito il perché.
Dovete sapere, innanzitutto, che quando devo studiare un pezzo d’orchestra mi piace suonarlo mentre ascolto la stessa musica con le cuffie, in modo da avere una base su cui esercitarmi e anche fare finta di stare già suonando con l’orchestra – che, credetemi, è una delle attività più belle del mondo, secondo me. Ebbene, ero arrivata al quarto movimento della Sinfonia n°5, che, per chi non lo sapesse, è quasi tutto in fortissimo (oltre che un bel po’ tosto da suonare, ma non divaghiamo ^^) – … e vuoi per l’isolamento acustico dovuto alle mie cuffie, vuoi per la concentrazione e l’immedesimazione nel pezzo, non mi sono accorta della scossa fino a quando non ho visto il leggio che ondeggiava davanti a me, e solo allora ho realizzato che doveva essersi verificato un altro terremoto. Ormai però il peggio era passato, e una volta tanto sono riuscita a non spaventarmi particolarmente. A detta dei miei conoscenti, però, non era stata nemmeno quella una scossa da sottovalutare.
Ecco spiegata la causa del terremoto!
Ma non ho deciso di scrivere questo articolo per raccontarvi le rocambolesche avventure tra me e i terremoti, bensì per mettere per iscritto un pensiero che mi è venuto in questi giorni, proprio “grazie” allo sciame sismico (di cui si sarebbe fatto volentieri a meno, ma sapete com’è fatto, il terremoto
).L’idea mi è venuta riflettendo su questo fatto: in qualsiasi luogo mi trovassi, che fosse la scuola, la piazza o il supermercato, la parola “terremoto” era sulla bocca di tutti. Anzi, bastava anche un accenno che, in circostanze normali, nessuno o quasi avrebbe afferrato («L’hai sentito anche tu?» o «Questo è stato forte, vero?») e tutti si intendevano. Io stessa mi sono resa conto che in questi giorni non riuscivo a pensare ad altro, tanto che alla minima vibrazione del pavimento mi veniva l’ansia. Di notte, poi, non ne parliamo: a volte mi svegliavo convintissima che ce ne fosse appena stata una, che però nessun altro in casa era riuscito a sentire.
In ogni caso, credo di non sbagliarmi quando dico che il terremoto, anche se forse a chi più e a chi meno, fa paura a tutti, ed è una paura che va al di là di una semplice fobia, per esempio verso il buio, gli insetti o il parlare in pubblico. Ciò che la rende diversa da un’altra paura, secondo me, è che non esiste un modo per superarla, e il perché di questo deriva da un fatto molto semplice: i terremoti sono una delle poche cose che l’uomo non può controllare, non può prevedere né evitare. Arrivano all’improvviso, quando meno li si aspetta: un po’ come la morte, che tutti sanno bene che prima o poi arriverà, ma non si sa quando e come. L’unica cosa da fare è aspettarli, sperando di non trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, quando succederà. Non c’è da vergognarsi, dunque, ad avere paura; anzi, sarebbe da sciocchi non averne (o insistere a mostrarsi impassibili), dato che un po’ di sana paura, fintantoché non diventa panico, rende più acuti i riflessi e il nostro istinto di sopravvivenza.
Girando per la rete, so che molti si chiedono: “Ma se è vero che Dio esiste e che è infinitamente buono, perché ha inventato i terremoti?”. Anche non volendo tirare in ballo la questione religiosa, io una risposta a questo penso di averla trovata: perché, come ho già detto, i terremoti ci fanno capire quanto siamo vulnerabili, e ci ricordano che la nostra terra non è fatta per essere sfruttata all’infinito e che la natura è comunque più forte di noi. Le scosse sismiche, così come tanti altri fenomeni naturali, non sono che un modo per farci pensare che esiste qualcosa di imprevedibile e che non può essere padroneggiato, e che non possiamo fare nulla per sottrarci a esso: in poche parole, ci fa scontrare con la nostra fragilità e ci dà la consapevolezza che gli uomini non sono affatto onnipotenti e invincibili come a volte vorrebbero essere.
Qui poi ci starebbe bene un’altra sfilza di riflessioni filosofiche, ma non sono una ragazza a cui piace fare prediche morali.
Spero solo di non avervi annoiato con l’ennesimo pensiero bizzarro, ma di aver dato anche a voi – se il terremoto non lo avesse già fatto – un qualche spunto sui cui pensare
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