I CdL spiegano come evitare i termini di decadenza in caso di trattamento previdenziale erroneo
Premessa In caso di trattamenti previdenziali riconosciuti in un importo inferiore a quello spettante, il termine di decadenza giudiziale volto ad ottenere l’adeguamento di prestazioni è di 3 anni, compiutosi il 5 luglio scorso. Per mettersi al riparo dalla decadenza è necessario verificare in brevissimo tempo l’importo della prestazione INPS erogata e eventualmente agire in giudizio. A chiarirlo è la Fondazione Studi CdL con la Circolare n. 15/2014, analizzando le modifiche apportate alla disciplina dei termini di decadenza, cui è sottoposta l’azione giudiziaria del pensionato, per controversie inerenti al diritto e alla misura della prestazione.La normativa
L’attuale formulazione dell’art. 47 del D.P.R. n. 39/1970 ad opera del D.L. n. 98/2011 stabilisce che il termine di decadenza riferito alle prestazioni pensionistiche viene fissato in 3 anni (prima il termine era quinquennale e riguardava solo il diritto e non anche la misura), e in 1 anno quello riferito alle prestazioni temporanee (es. maternità). Al riguardo, i CdL fanno notare che manca una norma che regoli una fase di transizione; ciò significa che – considerando che il D.L. n. 98/2011 è entrato in vigore il 6 luglio 2011 – il triennio sta per compiersi il 5 luglio 2014. Da notare che la formulazione originaria dell’intervento del D.L. n. 98 (art. 38, comma 4) prevedeva l’applicazione delle novità illustrate anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data del 6 luglio 2011. Sul punto la Corte Costituzionale ha emesso una pronuncia del 2 aprile 2014, n. 69 che ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale per la irragionevole lesione che esso recava all’affidamento dei cittadini a norme ispirate a certezza. Con il Decreto Legge n. 98, osserva la Fondazione Studi, vengono ridefiniti completamente i rapporti di forza nel contenzioso tra pensionato ed ente previdenziale, limitando fortemente la possibilità per i primi di agire giudizialmente al fine di vedersi riconosciuti i propri diritti.In particolare viene modificata la disciplina dei termini di decadenza ai quali è sottoposta una eventuale azione giudiziaria, avviata dal cittadino nei confronti dell’Inps, in caso di contestazioni concernenti il diritto e la misura della pensione.L’allarme della Fondazione Studi
Al riguardo, la Fondazione Studi denuncia che “[…] emerge una chiara volontà di introdurre una norma che inibisca la possibilità di richiedere la rettifica della misura della pensione a circa 20 milioni di pensionati INPS presenti in Italia (sono escluse le pensioni pubbliche), anche se questa misura è stata calcolata in modo errato dallo stesso Inps. Peraltro, in questo modo si realizzerebbe un condono tombale a favore dell’INPS su tutti gli errori commessi dall’Istituto previdenziale e giacenti negli archivi, con riferimento ai quali i pensionati potrebbero non avere contezza”. E riflettendo sulla ricordata pronuncia della Corte Costituzionale del 2014, la Fondazione Studi afferma: “Resta, dunque, da verificare se sulla scia di questa sentenza si possa presumere che anche il merito della norma possa essere ritenuto incostituzionale per la rilevante sproporzione tra finalità della stessa e gli effetti che provocherebbe nei destinatari”.La soluzione Alla luce di quanto appena affermato, la Fondazione Studi consiglia ai pensionati di attivarsi per verificare che attualmente l’importo della prestazione erogata dall’INPS sia corretto rivolgendosi alle opportune sedi territorialmente competenti. Nel caso di un errore che abbia determinato l’erogazione di una prestazione di importo inferiore al dovuto, il consiglio è quello di adire velocemente l’autorità giudiziaria: “Il termine di decadenza di tre anni per dell’azione giudiziaria, decorre dalla corresponsione di ogni singolo rateo di prestazione. Pertanto il diritto di ogni rateo è da considerarsi autonomo rispetto al complessivo diritto alla pensione”. Fonte: FiscalFocus