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PENSIONI: Tre metodi per calcolare l’assegno pensionistico
Le modalità di calcolo delle prestazioni garantite dal sistema pensionistico pubblico italiano risultano essere, dopo le numerose riforme degli ultimi venti anni, molto complesse.
I lavoratori sono stati infatti suddivisi dalla riforma Dini del 1995 in due categorie:* i lavoratori già iscritti all’Inps prima del 31 dicembre 1995;* quelli iscritti per la prima volta all’Inps dal 1°gennaio 1996.
Fino alla riforma Monti-Fornero la principale differenza tra le due categorie di lavoratori risiedeva nel metodo di calcolo utilizzato per determinare le prestazioni maturate al pensionamento.
La riforma del 1995 La riforma Dini, infatti, ha introdotto (dal 1°gennaio 1996) il metodo di calcolo della pensione basata sui contributi versati (il cosiddetto metodo contributivo).
Secondo questo metodo la pensione è determinata considerando tutti i contributi (opportunamente rivalutati) che il dipendente ha versato presso i programmi previdenziali pubblici nel corso dell’intera attività lavorativa.
Si trattava di una innovazione importantissima rispetto al sistema precedente, basato sul cosiddetto metodo retributivo, che in generale considerava la media delle retribuzioni annue percepite nel periodo immediatamente precedente il pensionamento.
Il sistema di calcolo contributivo, per salvaguardare i diritti acquisiti dai lavoratori che avevano già maturato il diritto a ricevere le prestazioni al pensionamento, è stato però applicato gradualmente.
Infatti, la riforma Dini ha introdotto interamente il nuovo metodo esclusivamente nei confronti dei lavoratori iscritti per la prima volta all’Inps dopo il 31 dicembre 1995.
Per tutti gli altri il metodo contributivo è stato introdotto parzialmente.
In particolare, a chi alla data del 31 dicembre 1995 poteva contare su meno di 18 anni di contributi si applicava un sistema di calcolo misto: retributivo per le annualità fino al 1995 e contributivo per tutte le annualità successive.
Invece, per chi alla stessa data del 31 dicembre 1995 poteva contare su 18 anni di contributi e più si continuava ad applicare interamente il metodo retributivo.
Sono proprio questi ultimi lavoratori a subire una delle novità della riforma Monti-Fornero: anche a loro, infatti, dal 1°gennaio 2012 e solo per i versamenti successivi a questa data, si applicherà il sistema contributivo.
I metodi di calcolo pro rata
Molti lavoratori, quindi, ancora per molti anni percepiranno una pensione calcolata almeno in parte con il sistema retributivo.Tuttavia, il periodo lungo il quale si considerano le retribuzioni per l’applicazione di questo sistema risulta essere differente.
Per i lavoratori dipendenti che al 31 dicembre 1992 avevano maturato almeno 15 anni di contribuzione tale periodo è pari a dieci anni. Per tutti coloro invece che al 31 dicembre 1992 avevano maturato meno di 15 anni di contribuzione il periodo è sostanzialmente pari a tutta l’attività lavorativa prestata a partire dal 1° gennaio 1988.
Il contributivoPer i lavoratori dipendenti, inoltre il metodo contributivo viene applicato utilizzando un tasso annuo di contribuzione pari al 33% della retribuzione annua lorda imponibile ai fini pensionistici.
Le prestazioni rimangono sempre finanziate sulla base del sistema tecnico della ripartizione (i contributi versati nell’anno dai lavoratori in servizio vengono sostanzialmente utilizzati per corrispondere le prestazioni maturate nel medesimo anno dai pensionati).
Ai contributi versati è riconosciuta in ciascun anno una rivalutazione pari all’incremento medio del Pil nei cinque anni precedenti. La conversione dei contributi rivalutati in pensione è effettuata sulla base di una serie di coefficienti stabiliti per legge che vengono rivisti periodicamente per tener conto dell’evoluzione della sopravvivenza media della popolazione generale.
I coefficienti dipendono dall’età del lavoratore al momento del pensionamento.
Per i lavoratori iscritti per la prima volta all’Inps dopo il 31 dicembre 1995 la riforma Dini ha inoltre introdotto un massimale di retribuzione pensionabile e contributiva.
Attualmente il massimale è pari a circa 90 mila euro (ed è destinato ad incrementarsi in futuro sulla base dell’evoluzione annua del costo della vita).
Le variabili del calcolo
Il livello di copertura garantito dal sistema pensionistico pubblico risulta essere notevolmente influenzato da tutta una serie di caratteristiche individuali.
In particolare, il periodo effettivo di iscrizione al sistema pensionistico, gli anni di contribuzione maturati al 31 dicembre 1995, le retribuzioni annue pensionabili effettivamente percepite in ciascun anno e la loro evoluzione nel tempo, l’età del pensionamento, gli eventuali buchi contributivi eccetera.
Sulla base delle caratteristiche dell’attuale sistema pensionistico due dipendenti con la stessa evoluzione retributiva, la stessa età al pensionamento, la stessa anzianità contributiva, ma un differente periodo di iscrizione ai programmi pubblici, possono ricevere al pensionamento livelli di copertura completamente diversi. Per fornire un’indicazione delle presumibili prestazioni che il sistema è in grado di offrire sono state elaborate una serie di proiezioni al pensionamento.
Nell’ambito di tali proiezioni sono stati ipotizzati tre dipendenti, tutti iscritti per la prima volta all’Inps all’età di 25 anni, con una retribuzione annua lorda iniziale pari, in valore reale, a 15 mila euro. Si è inoltre ipotizzato che al 1°gennaio 2012 le età dei dipendenti considerati risultino essere pari a 40, 50 e 60 anni.
Il dipendente di 40 anni è rappresentativo degli iscritti per la prima volta all’Inps il 1° gennaio 1997, nei confronti dei quali il metodo contributivo è applicato per intero. Quello di 50 anni è rappresentativo degli iscritti per la prima volta il 1° gennaio 1987, pertanto con meno di 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, nei confronti dei quali il metodo contributivo è applicato parzialmente dal 1° gennaio 1996.
L’ultimo dipendente di 60 anni risulta infine essere rappresentativo degli iscritti per la prima volta all’Inps il 1°gennaio 1977, pertanto con più di 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, nei confronti dei quali il metodo contributivo è applicato parzialmente dal 1° gennaio 2012.
Per ciascuno dei tre dipendenti sono state ipotizzate tre evoluzioni retributive: contenuta, con una retribuzione annua lorda finale pari, sempre in valore reale, a 30 mila euro, media, con una retribuzione finale pari a 75 mila euro ed elevata, con una retribuzione finale pari a 150 mila euro.
In sostanza i tre dipendenti percorrono la medesima carriera ma il loro periodo di iscrizione all’Inps risulta essere traslato di dieci anni in dieci anni (prevedendo quindi un differente calcolo della prestazione finale: contributivo puro, misto secondo la riformaDini, misto secondo la riforma Monti-Fornero).
Le prestazioni sono state stimate al raggiungimento dei 66 anni di età.
Le categorie di lavoratori che ricevono dal sistema pensionistico pubblico la copertura più contenuta sono mediamente i giovani e i dipendenti che possono vantare al termine della loro attività lavorativa un’evoluzione retributiva medio-elevata.
Fondamentalmente queste sono le categorie di dipendenti che più delle altre necessitano di una copertura pensionistica aggiuntiva. In alcuni casi, però, i benefici fiscali attualmente concessi per il finanziamento dei fondi pensione non risultano essere in linea con le reali esigenze dei lavoratori e non consentono di ricevere su basi efficaci un livello adeguato di copertura pensionistica finale.
In questa ottica in futuro risulterà sempre più determinante che il Tfr sia considerato dai lavoratori come una fonte di finanziamento dei redditi che saranno percepiti dopo il pensionamento e non come attualmente avviene un capitale da utilizzare per generiche esigenze personali o familiari.
Così, potrà essere versato a un fondo pensione, lasciato in azienda e accantonato a riserva contabile (e trasferito quindi all’Inps per le società con almeno 50 dipendenti), utilizzato per effettuare tutti i possibili tipi di investimenti eccetera ma in ogni caso sarà bene che sia destinato esclusivamente al finanziamento del reddito post pensionamento.
Solo attraverso l’accantonamento del Tfr infatti sarà possibile ottenere alla cessazione definitiva dal servizio un reddito adeguato che consenta la conservazione dello stesso tenore di vita mantenuto nel corso dell’attività lavorativa.