Magazine Diario personale

Penso quindi gatto

Da Lepaginestrappate @paginestrappate

Sì, mi sono chiesta che Animagus sarei se fossi un personaggio di Harry Potter (un gufaccio del malaugurio, ovviamente!); Elsa è il mio adorato ghepardo e insieme abbiamo vissuto infinite avventure; Gli Aristogatti sono il cartone animato più figo e il pelo della Bestia c’ha sempre quel nonsoche che attira.

Sì, quando ero piccola ho letto infiniti libri con protagonisti animali, ma devo dire che avevo dato per scontato che, crescendo, andando in libreria non mi sarei ritrovata circondata da cuccioli cuccioletti pastrocchietti pelosi e meow meow bau bau.

E invece…

Qualche anno fa è partito un treno carico di libri che parlano di cani e gatti. La maggior parte fa ridere, intenerisce e negli ultimi capitoli piangere a dirotto.

Personalmente, non mi attirano manco un po’. Cioè, forse potrei leggerne uno. Massimo due. E’ perché non ti interessano cani e gatti e piccioni viaggiatori, direte voi.

Niente di più sbagliato! Ok, i piccioni viaggiatori forse hanno la mia attenzione solo in qualche romanzo di Dumas. Dei gatti mi interessa che non vadano a rompere le scatole agli uccellini che fanno il nido nel mio giardino. Per quanto riguarda i cani, invece, sono affetta da rimbecillimento acuto irreversebile. Osservo ogni cane che incontro, amo la loro bava sbrodolante affetto e non ho pudore nel definire il mio vero amore questa meraviglia della mia vita, con cui ho un rapporto di totale simbiosi:

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Luna, impegnata nella sua attività di cane da guardia

Comunque, no. I romanzi sui cani non mi interessano. Né mi interessa piangere a dirotto sul racconto della vita e morte di un animale domestico.

Però evidentemente piacciono molto, se ne sfornano di uguali l’uno all’altro come prodotto di una catena di montaggio e forse è per questo che ultimamente c’è questa moda di scrivere racconti dal punto di vista di un cane o un gatto.

Delle ultime dieci raccolte di racconti che ho letto – scritte da esordienti/amatoriali/selfpublishing eccetera – cinque contengono narrazioni descritte dal punto di vista di un animale domestico. Di queste cinque, nessuna m’è piaciuta. Cinque su cinque erano discretamente pallose.

Il fatto è che quando inizio a leggere un racconto che mi proietta nella testa di un gatto e questo gatto ha una personalità umana, tendenza ahimé molto diffusa, io mi chiedo: “Ma che senso ha? O pensa come un gatto o non è un gatto!”

La fattoria degli animali ha un contesto e presupposti ben diversi da un cane che si rotola nel fango e osserva la propria padrona; una mente umana intrappolata in un cucciolo potrebbe lasciar intendere un’inquietante connotazione di kafkiana memoria.

Scrivere da un punto di vista desueto è uno degli esercizi di scrittura più diffusi e immediati: fingiti un telefono; un oggetto nella stanza; lo specchio che ti osserva; eccetera eccetera.

Ma quando si scrive un racconto, si supera il mero esercizio scrittorio. E se l’unico elemento di sorpresa e particolarità, in un testo, è il punto di vista desueto, e la narrazione è banale, a volte infantile, più spesso totalmente piana, forse c’è da fare qualche passo indietro e chiedersi: “Che cosa sto scrivendo?”

Ricordandosi che non siamo tutti Orwell e che c’è un motivo per cui le persone amano tanto i loro animali: perché sono animali.



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