Magazine Diario personale

Pentirsi: un inutile circolo vizioso

Da Giuseppe Bonaccorso @GiuseppeB

Repent signPentirsi è una di quelle attività in cui la mente umana si lascia intrappolare pensando che la semplicità del senso comune sia più meritevole delle speculazioni della filosofia. Eppure talvolta è proprio quel poco di ragionamento a far comprendere perchè il senso comune sia così poco avvezzo a spiegare le ragioni del suo insuccesso.

Innanzi tutto, per "pentirsi" bisogna prima essersi trovati di fronte ad una scelta e aver preso una decisione. A partire da questo punto è possibile che nasca nell'individuo il desiderio di rivalutare quanto è accaduto per comprendere se era possibile fare di meglio. Ci si pente, insomma, perchè si è creata una condizione sulla quale il pentimento ha potuto germogliare; così come una foglia, che sia esposta al sole o di fronte ad un muro di cemento, valuta il suo verde e la clorofilla che la riempie solo in virtù del fatto che è nata su un ramoscello il quale, a sua volta, è parte integrante di un albero.

La domanda "Te ne sei pentito?" mostra in ciò la sua fallace potenza? Chi se la pone, per poter tentare una risposta, dimentica di aver preso una decisione esclusiva e che tale decisione lo ha posto, in seguito, nella possibilità di dubitare del valore inizialmente attribuito alla decisione. Ma questo dubbio è privo di senso! Intanto perchè non si basa su alcuna libertà: il passato è fisso e immobile come una statua e proprio per questo motivo ci si può porre in relazione ad esso così come se fosse possibile valutare e vivere contemporaneamente tutte le possibilità. Come, cioè, se la libertà venisse momentaneamente abolita per far posto all'onnipotenza.

Qualunque risposta si cerca di dare all'interrogativo sopra-citato è ipso-facto errata. Chi si pente, non si pente di fronte alla possibilità, ma lo fa al di là di essa e quindi in un porto franco ove anche il pentimento viene sdoganato come uno tra i tanti possibili. Ma se così fosse, il passato tornerebbe ad essere presente e quindi, insieme ad esso, tornerebbe il dilemma della libertà e tutto il dubbio a questa associato. Il pentimento è quindi sempre una trappola mentale, nella quale si ha solo l'illusione di una potenza ri-valutatrice ma si è in realtà immobili e impotenti di fronte ad oggetti privi di ogni manifestabilità.

Non ci si pente mai del possibile, ma sempre e solo dell'impossibile in quanto sottratto alla scelta proprio da una scelta stessa! Forse si potrebbe tentare di capire come ci possa "pentire" di fronte alla decisione, ma ciò esula da questo breve articolo e richiede, d'altronde, un'analisi ben più lunga. Ciò che è certo è che il senso comune inganna parecchio: piuttosto che dare enfasi ad un inutile (in tutti i sensi) pentimento, forse sarebbe molto più logico prendere atto che il dover continuamente confrontarsi con le decisioni (e quindi con le esclusioni e i pentimenti) è molto più drammatico della possibilità (seppur probabile) di poter sbagliare (condizione che si può valutare sempre e solo a posteriori, quando la decisione non esiste più in quanto tale ma solo come frammento inanimato di passato).


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