PERIODICA...LEGGERE PER...
UN LIBRO TRA LE MANI
... IL LIBRO CHE HO TRA LE MANI... IL ROMANZO “I FUOCHI DEL BASENTO” DI R.Nigro
PERCHE' QUESTO ROMANZO ???
RIPRENDO L'INCIPIT DI QUESTA INIZIATIVA E RISPONDO NON AD UNA
MA A UNA SERIE DI DOMANDE
1- PERCHE' QUESTO ROMANZO
2- QUALE AMBIENTAZIONE ?
3- COME L'AUTORE ESALTA LA STORIA NARRATA?
Anche la figura del cardinale Fabrizio Ruffo, che comanda l'esercito di re Nasone, a poco a poco giganteggia nel romanzo, affiancandosi a quella leggendaria di Francesco Nigro. Sono i loro movimenti, le loro conquiste di paesi e città, i loro saccheggi per le terre del Basento a riempire di fuochi e ad illuminare quell'epopea di uomini e di avvenimenti, che non manca di destare stupore come fosse ancora presente e viva, grazie ad un uso sapiente di termini dialettali, una pagina di storia lontana come ad esempio questa descrizione: "Nella strada polverosa passò una squadra di mietitori. Scalzi e laceri come sono i braccianti della Puglia. Riposato su un asino li guidava il caporale, si difendeva dal sole con un ombrello e aveva l'orcio fresco nella bisaccia."
4- ALTRE SORPRESE NELLA LETTURA?
BRIGANTE CROCCO
Alcuni personaggi, tuttavia, s'incaricano di fare la differenza e di dare una straordinaria levità ad una storia che altrimenti sarebbe - prostrata la povera gente perfino dal colera - solo cinica e beffarda: Pietropaolo ("comandato dall'angelo a seguirvi, tutti di casa, nel bene e nel male"), zio Luigi ("Agitava le braccia nel vento e tracciava dei segni"), Raffaele Arcangelo ("il generale dei poveri"), Maria Fonte di Bene ("figlia del faggio e di una lepre, figlia di un lupo e di una felce?"), che è la moglie di Vitodonato e madre di Bartolomeo, l'ultimo Nigro che appare nel romanzo e che riprende il nome di un antenato vissuto nel 1600, infine, davvero mirabile, un vero tocco di grazia, la presenza, di guida e di conforto, dei morti: "Andiamo, don Francesco, finché brillano i cerogeni - disse don Tommaso. Ma teniamoci vicini. Ho da raccontarvi degli anni che non avete visto."
5- COSA DIRE SULL'AUTORE?
Così nella letteratura ritorna la storia, una storia meditata, viva e palpitante, sociale... Ne vien fuori la chanson des gestes di una gente diversa, una moltitudine subalterna... insomma il romanzo di Nigro è un grande affresco della società meridionale nelle sue coordinate essenziali: folklorico-popolare, religiosa, intellettuale. Di esse le prime due interagiscono e vivono, nell'opera, in stretta connessione fra loro. Prevale una sorta di arcaismo religioso e il mondo soprannaturale è complementare a quello della storia: entrambi si incontrano tra tradizioni popolari e superstizioni...
Quando Raffaele Nigro dalla Breve iscrizione sulle prime pagine del romanzo “Fuochi del Basento” fa dire a Rocco Scotellaro: "L’uomo che seppe la guerra e le lotte degli uomini / imparò dal fascino della notte / il chiarore del giorno" – 1- , si pensa che voglia dare una traccia di lettura delle vicende vissute nel suo romanzo da uomini di quattro generazioni.
1. Cfr. R. Nigro, I fuochi del Basento (Milano, Camunia, 1987). Tutte le citazioni sono tratte dalla menzionata edizione. I numeri tra parentesi indicano le pagine.
6- QUALI E QUANTI CONTESTI?
Tracce che scavano nella lunga notte del popolo meridionale, con le sue arretratezze feudali ed ingiuste ed individua la serie di "guerre e di lotte", di speranze e di sogni che porta luce in quel periodo oscuro con il suo fascino. Un popolo che partecipa alla sua storia grande o piccola che sia, tutto avvolto in un’atmosfera di mito in cui figure ed episodi sono simboli di passioni e debolezze, squallore ed indigenza fino alla trasformazione in narrazione epica.Interessante l’affermazione dello studioso meridionalista Giustino Fortunato: "Siamo quel che la razza, il clima, il luogo, la storia [...] hanno voluto che fossimo" -2- per considerare che, se pure l’uomo di Nigro vive in un ambiente, in cui natura e cultura sono legate da reciproci pesanti condizionamenti, riesce egli a non esserne completamente sopraffatto.
2. G. Fortunato, Le cooperative di credito nel Mezzogiorno in Il Mezzogiorno e lo Stato italiano (Firenze, La Nuova Italia, 1926), p. 56.
G. FORTUNATO
Ho analizzato quanto questo uomo sia improntato dall’habitat e quanto la realtà sociale e storica gli tolga autonomia perché il suo impegno coraggioso possa essere colto nella giusta luce.La conoscenza della realtà- reminiscenza del nostro uomo - egli contadino, bracciante , pastore- porta a considerare la natura selvaggia del sud che rende rudi: implacabile, come "il sole che picchia senza risparmio sulla terra dura e arsa", soffocante, come "l’afa che sfa le carni ed uccide di pula e moscerini" (p.102), infida, come le sabbie mobili e gli acquitrini che si nascondono "tra tofe e felci" o come "i boschi lucani", dove "se ti perdi sei morto".
E questa natura partecipa agli eventi più intimi degli uomini, vive nei loro sogni accompagnandone i pensieri, ricca di presenze, e alla natura stessa si chiede un segno per il futuro, riparo, sostentamento. E' una natura che accompagna al lavoro i braccianti "scalzi e laceri" col sole che batte implacabile sulle schiene", accoglie i pastori nel loro vagare "per sterpaglie e acquitrini, tra luoghi infestati di zanzare, vipere, mosche, tafani" (p. 111), è avara e difficile col contadino, ostile con chi passa, il rapporto con lei diventa "una lotta crudele" e "fierissima", "una lotta di cui l’uno e l’altra portano indelebili tracce dolorose" – 3 - , come suggerisce Fortunato.
3. Ibidem, p. 58.
In sostanza il brigante si abbandona nelle sue braccia "nella macchia del demanio", tra gli acquitrini, "nell’immensità di vigne, boschi incolti, pascoli"; accetta la sua dura legge nelle marce di spostamento, nelle fughe o negli inseguimenti ("tra siepi di sambuco e felci che s’intricavano e diventavano macchione di acacie e querce",p.195) "nella sterpaglia" che "sollevava polvere e accresceva la sete", tra "rovi, finocchi selvatici, ferle"dove le "pietre calcaree bianche come teschi" erano rifugio "di vipere e impastoravacche", p.105; vi depone i suoi segreti e suoi sogni ("voleva governare una corte speciale costruita tra alberi, siepi, uccelli, radure e fiori", p.121); la padroneggia.
.... la dura vita dei brigante tra i monti:
“Sono giorni di fatica e di batticuore quelli del bandito. Quando latrano ì cani pastorini e squilla la tromba della guardia civica bisogna alzare il tacco. Una banda di sette uomini ha turni di guardia molto frequenti e leva il campo di fortuna in un batter d’occhio. Si getta erba bagnata e terriccio sui tizzoni dove si sono arrostite due patate, un passero, se va bene una gallina, e si fugge verso il cuore degli intrichi, tra le canne e gli acquitrini, a cavallo chi ne ha uno, a piedi gli altri, con la tromba, i comandi, le schioppettate nelle orecchie, la morte dietro la nuca. Nelle ore di riposo si disegnano per terra agguati, progetti di rapina, oppure si dorme, portati al sonno dalle cicale e dalla cornacchia, dal ronzio dei tafani che dissanguano le bestie.” (p. 24).
Ma questi monti accolgono anche:
7- ... IL RUOLO DELLA NATURA?
8- ... E QUELLO DELLA CULTURA?Altro elemento che impronta questa gente, è la cultura, quel nerbo cioè che ne fortifica la vita, sostiene il presente perché possa realizzarsi la promessa del futuro.Nel dipanarsi delle vicende del romanzo ho notato la tensione verso il futuro che qualifica il mondo dell'autore non chiuso in forme arcaiche di comportamento pur se da esse tratteggiato.È il caso della vicenda di Teresa Addolorata cui tutti passionalmente si partecipa come in un dramma greco fino alla catarsi finale cioè il rispetto della legge ("prima l’onore e poi l’amore), frutto di quella tradizione che assicura il futuro. Dopo di che la stirpe può continuare e Vitoantonio, figlio di Carlatonio Nigro che ne aveva ricostituito l’onore, sarà erede legittimo.
-4- approdando alla moderna psicologia del profondo. 4 - E. De Martino, Sud e magia (Milano, FeItrinelli, 1983), p. 96.
9- LA MAGIA...?
Credo che non si possa cogliere, nel mondo de I fuochi del Basento, diffuse forme di bassa magia, anzi tutte le espressioni della mentalità pagano-magica, di cui sono eredi più saldi le masse contadine del sud, sono vissute con disincanto, qualcosa con cui bisogna convivere e che comunque si cerca di dominare. Eccone un esempio nell’episodio dei tarantati a cui assiste Carlantonio:
Li accompagnava uno stuolo di contadini e contadine con mandole flauti traccole e tamburi. […] Più che ballare si arrotolavano al ritmo di una pizzica pizzica. […] Aveva fissato le bocche dei malati per scorgere il diavolo che abbandonava i corpi: non lo si vedeva mai. "Bisogna essere diavolo e non farsi domare. Allora spaventi anche il diavolo", stava pensando (p.118).Il ricorso agli scongiuri, ai "mali spiriti" oppure le varie credenze appaiono come il frutto di un’antica saggezza mediante la quale affrontare la vita, e con i proverbi, i detti, le massime di cui è ricca la quotidianità, costituisce il sapere essenziale che fa da guida, spiega, giustifica, educa, e che insieme alle storie di giovani virtuosi e santi, forma la base affettiva e dottrinale dell’educazione dei giovani.Ed accanto alla magia diremmo superficiale, ecco convivere il colorito cristianesimo meridionale delle stimmate di padre Raffaele Arcangelo, venerate come i santuari del Gargano o di Montevergine; ed anche gli esperimenti di padre Paolino Tortorelli, lo scienziato della natura che viene scagionato da un’accusa di stregoneria.Una cultura perciò che non ostacola la speranza.
10- COME ENTRANO LE VICENDE NEL TESSUTO DELLA STORIA?
Terzo elemento da prendere in esame, le vicende che mai sono fuori della storia e agli uomini che le improntano.Il romanzo ha un andamento epico e sono stati chiamati in campo i narratori latino-americani e Garcia Marquez in testa per carratterizzarne la saga di una famiglia sullo sfondo della storia. Ecco Angiolello Del Duca, il giustiziere sociale, gigante buono che difende i deboli come il fiume Ofanto nutre la sua terra arsa; e tutti se ne tramandano le gesta. L' eredità la raccoglie Francesco Nigro e poi, in altro modo, suo figlio Raffaele Arcangelo.
Uomini che sono comunque sempre presenti nelle guerre che attraversano la loro terra ed entrano nei loro campi portando distruzione e morte.
Come gli eroi mitici Francesco Nigro è generoso ("era pieno d’amore, una fontana di sentimento", p.5), tenace nella fede ("camminava con gli occhi pieni di speranza [...] per questo camminava molto dentro e fuori la macchia del demanio, dentro e fuori le terre dei Doria e dei Galiani d’estate e d’inverno", p.51), fino a scommettere col destino ("se quassopra [...] nasceranno le ginestre è segno che imparerò a scrivere. Ed era come aver detto ’se voleranno gli asini’", [p.81). E come nel mito quella tenacia è premiata: Francesco Nigro diventa brigante e impara a scrivere.
...E VIA DI SEGUITO...
A fianco dei giacobini del '99 si innalza di tanto sui civili arricchiti e sui nobili che della rivoluzione si servivano per i loro interessi.Quando affronta l’ultima prova sapendo di dover soccombere (l’avo Bartolomeo gli aveva predetto la sconfitta) come Angiolello ("Angiolello ci vuole a battaglia / vuole fuochi di sangue non fuochi di paglia / ci vuole tutti a Potenza / addio, addio poesia e scienza", p.58) e quando incontra per l’ultima volta la moglie e il figlio ("’Sono venuto a stare con voi qualche ora’, ribadì […] strappando dalle braccia della moglie Raffaele Arcangelo",p. 60). Francesco somiglia al mitico difensore di Troia.Mitiche...la cavalcata lungo l’Ofanto ("padroneggiava la bestia con l’abilità del potatore che vola sulle cime degli alberi come un falchetto", p.61), la sosta sulla collina che accoglie i morti della famiglia quasi per ricevere dalla stirpe il suggello alla sua missione, il racconto alla donna delle sue gesta, l'ultima volta con lei (l’eroe resta sempre uomo), infine il bagno nel Basento che richiama quello di Angiolello nell’Ofanto. Così purificato sarà pronto per il sacrificio: la sua morte "in mezzo ad un nugolo di nemici" diventa il simbolo della rivolta contadina contro re e baroni. Ma subito questo simbolo si stempera in un pathos umanissimo, che dà la consapevolezza del prezzo di impegno personale che richiedono le conquiste dell’uomo ("a sue spese imparò quanto costa portare ritta la schiena", p.80).Destinato a continuare la stirpe dei Nigro è Carlantonio, diverso dal padre, lotta sull’altro fronte, dalla parte dei Borboni, evidenziando le divisioni che dilaniavano le plebi contadine. A lui tocca difendere l’onore della famiglia (ed è brigante crudele tra briganti crudeli, conosce fughe e tradimenti) e ricostituirne il nucleo distrutto da epidemie e guerre. Morirà insieme con i briganti del ’61, rispondendo ad un "richiamo ancestrale," contro altre prepotenze.Erede degli ideali di Francesco è, invece, Raffaele Arcangelo, frate carmelitano, segnato dalle stimmate, viene a contatto con la miseria dei diseredati, ma calca altri sentieri per proseguire l’opera del padre, sollevandosi quel tanto sul marciume dei mondo solo per non farsene contagiare; diventa "Generale dei poveri" col suo Ospizio dei Preziosissimo Sangue ("Un regno per i disgraziati [...] a difesa del corpo e dello spirito", 190), è con la gente e tra la gente ("Dobbiamo tamponare il fiume di sangue che scorre per le. strade del regno", p.202) dove non arrivano né leggi, né ospedali, né scuole "per dare una professione ai giovani, per insegnare il leggere e lo scrivere, per educare i figli dei poveri" e i briganti al suo seguito diventano uomini ("Una serpe? S'era fatto uomo",p. 210).Alle vicende di questo popolo partecipa Vitodonato Nigro, uomo di penna, "carbonaro convinto ("Solleveremo tutto il regno contro i borboni e finalmente avremo la libertà", p.212), ma deluso dal re è costretto anche lui alla macchia; partecipa con una banda di briganti, dalla parte di Garibaldi, allo scontro contro i borbonici nella piana di S. Eufemia, convinto per un momento di vedere realizzarsi un "nuovo mondo" ("osservava il generale Garibaldi che si accostava al cavallo del brigante, tendeva la mano per ringraziare dell’aiuto"); ma assiste al tradimento dei piemontesi ed è costretto a calare il capo e "rientrare nel solco" come avevano fatto le precedenti generazioni, mentre suo figlio Bartolomeo parte per l’America, il paese dove "il signor Washington per primo aveva insegnato la libertà ai re".