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Per amore di conoscenza

Da Gabrielederitis @gabriele1948

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Sabato 19 gennaio 2013

CAMMINARSI DENTRO (443): Per amore di conoscenza

Amore è desiderio di conoscenza.
CESARE PAVESE

Alla domanda su che cosa sia per noi Educazione è possibile rispondere in tanti modi. Se pensiamo nello stesso tempo a cosa sia a fondamento dell’Educazione e cosa sia un Educatore per noi, ci sembra più urgente riferire ciò che abbiamo messo di personale nell’azione educativa e che è possibile rinvenire nel tempo dell’insegnamento a scuola, nel tempo dell’aiuto al Centro di ascolto, nel tempo della crescita di una figlia a casa.
Tutta la mia esperienza educativa è stata sorretta da idee non proprio ‘pedagogiche’: non ho scomodato le moderne Scienze dell’educazione per andare avanti: piuttosto, mi sono fatto guidare dalle neuroscienze, dalla filosofia, da tutto ciò che aiutava ad accrescere la sensibilità, dall’arte alla letteratura, alla musica e al cinema.
A scuola è stato facile: dovevo addestrare i ragazzi a sviluppare competenza nelle quattro abilità fondamentali – ascoltare, parlare, leggere, scrivere -, per accrescere le capacità espressive e comunicative. Su tutto, però, ho fatto prevalere la scrittura.
A casa mi sono fatto guidare dalla cultura femminista, perché si trattava di aiutare a crescere libera dalla paura una figlia.
Al Centro di Ascolto si tratta sempre di “riportare i ragazzi a casa”, di aiutarli a riconoscere ciò che esalta l’esperienza personale e ciò che la deprime.

Della mia vita so con certezza che ho sempre lavorato per dare continuità a tutto quello che ho fatto. Quando mi sono reso conto dei cambiamenti che intervenivano in me, perché mi lasciavo alle spalle un’epoca della vita ormai trascorsa, non ho mai indugiato a lungo a rimpiangere le cose belle dell’infanzia o della prima adolescenza. Sono stato, piuttosto, impaziente di scoprire cosa la vita mi riservasse di nuovo. Ho accettato sui banchi di scuola e poi all’Università che la ‘sintesi’ arrivasse a tempo debito e che le cose prendessero forma dopo sforzi cognitivi, tentativi ripetuti, errori. Ho capito presto che solo il lavoro dà risultati: intelligenza, volontà, attitudini aiutano, ma non bastano. L’oscuro lavoro quotidiano soltanto è il crogiuolo in cui precipitano tutte le intenzioni e i propositi e i sogni e le aspirazioni e le performance. Ho visto crescere la mia parte sana grazie allo studio e alla prova a cui sottomettevo le mie facoltà superiori.

Mi è sempre piaciuta l’espressione “lavoratori della conoscenza” scelta dal mio Sindacato per designare gli Insegnanti. L’accento per me è posto su ‘conoscenza’. L’espressione più difficile del nostro compito umano nello sforzo di costruire relazioni significative con gli altri è “la conoscenza personale”, cioè la conoscenza della persona. Tutto il nostro sentire dipende dalla nostra capacità di conoscere la natura dell’altro, per stabilire di conseguenza contatti e scambi emotivi fruttuosi, per allacciare rapporti e dare vita a relazioni durature.
Siamo abituati a ricondurre l’idea della conoscenza a complesse strategie di apprendimento che portino all’acquisizione del significato di termini, concetti, fatti, principi, regole, leggi… Se rivolgiamo lo sguardo dalle ‘cose’ alle persone ci rendiamo presto conto del fatto che non si tratta mai di venire a capo una volta per sempre del significato di un’esistenza, come se fosse possibile ridurre la trascendenza personale, tutto l’invisibile dell’esperienza personale alla fissità di un concetto! A volte ci accade di dire che ‘sappiamo’ chi è una persona, perché abbiamo attribuito importanza ad essa, perché occupa un posto nella nostra esistenza, perché siamo spinti dalla curiosità ad indagare ancora, per dare ancora senso, più senso al modo di declinarsi nel mondo di qualcuno. Se non ci faremo accecare, però, da impazienza e avidità, dovremo riconoscere che il darsi a noi di un’esistenza non è mai paragonabile al modo di darsi delle cose, su cui finiremo sempre per esercitare una qualche forma di possesso. Nell’amore, come in tutti i modi di relazionarci all’altro, ciò che incontriamo è un soggetto, mai un oggetto. ‘Ridurre ad oggetto’ della nostra azione l’altro è sempre impresa destinata al fallimento e generatrice di follia.
La vita del soggetto è possibile ‘afferrare’ solo nel tempo, giacché essa si dà solo nel tempo. Tutti i tentativi di fermare il tempo sono pura pazzia. Noi siamo abitatori del tempo. Siamo i mortali. Non possiamo fare altro che consistere qui e ora, nel nostro tempo mondano, consci del nostro sbandato andare. Ci è concesso istituire file di continuità per dare orientamento al nostro cammino. È nell’istante eterno soltanto che dura l’incanto delle cose belle. Riesce a rendere eterno ciò che non dura solo chi arriva ad attribuire valore alle cose.


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