I mezzi d’informazione hanno una memoria selettiva.
Tutti a parlare di Scajola. Tutti a rimembrare l’acquisto di parte di una casa ‘a sua insaputa’. Tutti a parlare di scorte, di latitanti protetti e di femmine patinate.
Eppure, pochi, soprattutto in tv, hanno rivangato ciò che meglio definisce l’uomo.
Correva l’anno 2002, e Scajola era Ministro dell’Interno.
Il 19 marzo, il Prof. Marco Biagi, docente universitario, giuslavorista, autore di una contestatissima riforma che porterà, postuma, il suo nome, viene ammazzato sotto casa sua a Bologna, mentre torna dal lavoro. In bicicletta.
Il 30 giugno, il Ministro dell’Interno, in una conversazione da lui definita privata (mi spiegasse cosa trova di privato nel parlare davanti a un gruppo di giornalisti) sintetizza con una frase il suo pensiero su Marco Biagi (morto, ricordiamolo, tre mesi prima):
«Fatevi dire da Maroni se era una figura centrale: era un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza.» (La frase è testuale)
Il 4 luglio, nonostante questo sia un paese da operetta, è evidente financo a Silvio B. che questa volta ‘sciaboletta’ (nell’imperiese lo chiamano così) non l’aveva solo fatta fuori dal vaso, ma direttamente sul tappeto, e il nostro rassegna le dimissioni.
Ricordare questa storia aggiunge poco ai reati che Scajola possa aver o meno commesso. Ma dice moltissimo dell’individuo (non userei, a sproposito, la parola uomo).
Un’ultima cosa. Sulla riforma Biagi si possono dire tante cose. E io non sono tra gli estimatori. Però ebbi l’onore di conoscerne l’autore e di sostenere con lui conversazioni di cui ancora serbo ricordo. Era un gran signore e un uomo di valore.
Due cose che Scajola manco sa cosa siano.