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Per chi c'era e per chi non

Creato il 18 dicembre 2013 da Martahasflowers
Per chi c'era e per chi non
Sinceramente pensavo che non lo avrei mai fatto.
Sinceramente, fin da piccola, la sola idea mi metteva l'ansia.
L'abito bianco, e quella camminata eterna per raggiungere lo sposo sotto lo sguardo di tutti, la pettina in testa, le scarpe scomode, il mio muovermi goffo per forza, e i parenti, gli amici e gente che manco sai chi è.
Mi sembrava il trionfo della messa in scena e la cosa non faceva per me.
Io mi arrampicavo sugli alberi con la mia amica Uta, giocavo a pallone con Federico, Paolo e la Cri, e di essere principessa non mi interessava niente.
Ma poi pure da grande, l'idea di sposarmi anche no, grazie.
Potevo fare tre, quattro, sei, dieci bambini (tutti maschi, pare). Ma non potevo dire sì una volta per tutte.
Preferivo, e preferisco anche ora, dire sì tutti i giorni, scegliere ogni mattina e ogni sera, e lavorare perché ogni volta questo sì sia convinto, altrimenti che arrivi il no e ci si incammini altrove, dove ritrovare la propria autenticità.
Poi invece la settimana scorsa mi sono sposata. Dopo 15 anni di amore (che significa attraversare il paradiso ma anche il purgatorio e l'inferno, a volte), tre figli (maschi), tre case.
Senza abito bianco né altare, per la verità, ma ci siamo sposati: per far felici i genitori prima che fosse troppo tardi (...), per non farci avvelenare la vita dalla burocrazia nel caso uno dei due restasse da solo (...). Ma anche perché per la prima volta in vita mia me la sono sentita davvero. Perché oggi so che questo è l'uomo a cui mi posso affidare, l'uomo che potrei avere accanto anche fra trent'anni, se non ci dimentichiamo di prenderci cura di ciò che siamo insieme.
E così, con questa consapevolezza, il mio matrimonio è stato bellissimo. Non volevo nessuno, io, sgrusa come sempre, e invece sono venuti in tanti, forse perché in tanti ci vogliono bene e come si fa a non essere felici, allora? È stato tutto perfetto, anche le parole dell'amico che ci ha sposato, che mi ha fatto un po' commuovere ma anche tanto ridere, proprio come desideravo, ché se non c'era l'allegria diventava tutto una tristezza.
Quindi oggi sono una donna maritata, ho un secondo cognome, un cerchio d'oro sull'anulare sinistro che mi sembrava tanto banale e adesso mi pare così elegante, la casa piena di fiori e quadri nuovi e un viaggio lontano che mi aspetta, da fare con tutta questa rumorosa famiglia che abbiamo già costruito (grazie, grazie, grazie).
C'è però un rimpianto amaro che non mi ha mai abbandonato in questi giorni e mai mi lascerà in pace, un'angoscia che mi turba le notti, un dolore che mi investe acuto quando soffermo il pensiero: l'assenza di mio padre, l'uomo che più di tutti mi voleva sposata e che quel giorno lì invece non c'era, prigioniero di un corpo devastato, chiuso in ospedale da due mesi, ormai inabile a muoversi e a gioire, incapace perfino di sorridere di fronte al suo piccolo fiore vestita di fucsia, con il bouquet e l'anello al dito. Il mio papà fragile e disperato, che voltava il viso per non guardare, per non soffrire. Il grande assente presente in ogni istante, invece. Profondo dentro il mio cuore, gonfio d'amore.
(E perdonami se ho fatto troppo tardi).

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