Tempo di riassunti, siamo a tre quarti della terza elementare. Non ho idea di quale sia la corretta collocazione nel percorso didattico e nel programma di Italiano della scuola primaria di questa fondamentale tappa, mia moglie ed io e un gruppo di altri genitori della classe di mia figlia ci siamo imposti di non mettere mai in dubbio l’autorità e la professionalità delle insegnanti né arrogarci la presunzione di saperne più di loro. A ciascuno il proprio mestiere, c’è anche un detto in milanese che nel nostro lessico famigliare in cui nessuno conosce il dialetto locale tantomeno il sottoscritto che ogni tanto ha rigurgiti di ligure storpiamo con “firulin firulè fa el to mestè” (ma basta cercare sul gogol per trovare la corretta dicitura che è “ofelé fa’ el to mesté”). Ma in matematica siamo ancora alle moltiplicazioni a due cifre mentre altrove già dividono e frazionano come se non ci fosse un domani e una scuola media, così a volte il sospetto che tutto sia lasciato al caso ci coglie impreparati come i nostri piccoli studenti alle prese con le grandi verifiche della vita e così, quando ci mettiamo alla scrivania per capire quale metodo sia stato trasmesso per entrare nel favoloso mondo della sintesi, rimaniamo interdetti di fronte a come maestra e alunni si sono esercitati insieme in classe.
Un mosaico di parole sottolineate che, scevre di “inutili” qualificativi e dettagli arbitrariamente considerati superflui ai fini della comprensione del testo, sono state riportate tali e quali sul quadernone a formare un Bignami della storia originale, un concentrato con gli stessi termini trascritti come una semplificazione matematica, una potatura delle fronde in eccesso per dare nuova linfa a una trama in stato vegetativo, una selezione all’ingresso di una dimensione superiore in bella copia.
E il senso che è passato è proprio quello: dato un testo, il riassunto è traghettare solo le paroline importanti di là. Ma non sarebbe nemmeno un dramma, voglio dire è stato abbastanza veloce spiegare alla bambina come rendere una sintesi con le proprie parole facendo incetta dal proprio vocabolario e sforzarsi nel trovare sinonimi che possano rendere allo stesso modo quello che si è appena letto. Il problema è subentrato con la favola scelta come compito a casa, praticamente un elenco di vicissitudini che una povera fanciulla protagonista è stata costretta a provare sulla propria pelle nella ricerca del fratello rapito da una principessa molto determinata. La trama consisteva in una sequenza di avventure difficilmente riassumibili, con le quali si poteva o citarle a una a una, che è poi quello che abbiamo fatto, o soprassedere con un generico “dopo varie traversie”, una locuzione che avrebbe ridotto il compito a un paio di laconiche righe.
L’impressione è stata quella di una pessima scelta di materiale su cui far esercitare i piccoli, perché alla fine un pignolo conteggio parole manuale ha confermato una riduzione della lunghezza finale inferiore al 10%. Così, prima di sbottare, mia moglie ed io ci siamo ripetuti ancora una volta “firulin firulè fa el to mestè”, che tradotto in italiano però questa volta significava “un anno di scuola buttato via”.