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Le ultime settimane sono state monopolizzate da due dichiarazioni infelici e dalle successive polemiche. Il tema dell’occupazione è un nervo scopertissimo. Forse sarebbe il caso che chi ricopre incarichi di governo maneggiasse con più cura una materia talmente esplosiva. Ha iniziato il viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Michel Martone: “chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato”. Anche chi si laurea in tempo e poi invecchia cercando un lavoro non scherza. Martone ha successivamente rettificato il senso della sua affermazione, ma l’irritazione non passa. E non va via perché pure Martone dovrebbe sapere che la questione, innanzitutto, è di “opportunità”. Che non sono uguali per tutti. Senza ricorrere alla vis polemica di Travaglio, se sei figlio di un magistrato della Cassazione (o comunque “figlio di”), hai possibilità che altri nemmeno si sognano. Fai esperienze, maturi un curriculum eccellente e vai avanti. Incarichi su incarichi, una pubblicazione dopo l’altra e può capitare di ritrovarsi professore ordinario a 30 anni e viceministro a 38.
Commentando la mia lettera al ministro Profumo, in poche battute Mario ha spiegato dove sta la vera differenza tra l’Inghilterra e l’Italia:
In Inghilterra c’è un’etica del lavoro cristallina. Non hai bisogno di conoscere nessuno e nei colloqui sei valutato “semplicemente” per i tuoi meriti. Non solo, anche se non hai le qualifiche richieste, se reputano tu abbia il potenziale, il training te lo danno loro, pagato, perché investono nella persona. È il valore della persona che conta, non chi conosci. Negli anni, con uno straccio di diploma di maturità scientifica (42/60) ho lavorato in una banca multinazionale (HSBC), per la polizia metropolitana londinese, ed ora per una compagnia aerea, che è anche un’altra multinazionale, in un percorso lavorativo di cui vado fiero. Dubito in Italia avrei avuto le stesse possibilità. In banca ci entri con le raccomandazioni, così come in Polizia o all’Alitalia.
Sei valutato per le tue qualità. Se ti giudicano idoneo, investono su di te. Una visione copernicana. Quanti corsi di formazione vengono tenuti in Calabria, senza che si riesca ad ottenere neanche un posto di lavoro? Gli unici a trarre un profitto sono coloro che li organizzano. Non i partecipanti, che collezionano l’ennesimo inutile pezzo di carta. A quanti curriculum inviati non segue alcun colloquio di lavoro e neppure l’educazione di una risposta?
Per entrare all’HSBC, una delle più grandi banche europee, Mario non ha fatto un concorso. Ha superato un colloquio di lavoro, durante i mesi di prova ha seguito un corso di formazione, infine è stato assunto. Lineare. In Italia una cosa del genere è impensabile. Fare per tutta la vita lo stesso lavoro non rientra nella sua filosofia di vita. Altrimenti sarebbe rimasto in banca. Ma lui ha la possibilità di smettere e fare altro con una relativa semplicità. Se invece il presidente del consiglio se ne esce con “il posto fisso è monotono”, in una realtà caratterizzata dal 30% di disoccupazione giovanile (senza contare inoccupati, cassintegrati, lavoratori a 5-600 euro al mese), è scontata la selva di fischi. Il problema è il lavoro, un lavoro qualsiasi. Altro che posto fisso. Le parole sono importanti, ma anche chi le pronuncia.
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