Foggia – SE ci si mette a pensare, allora non ce ne si esce realmente più. Perché le domande sono ben più di una. Riassumendo: come mai in una via che, ad intermittenza, è chiusa al traffico e che si fregia di poter e di voler essere il volano della resurrezione della storia della città di Foggia, manca ogni sorta di ausilio per le biciclette? No, la domanda è curiosa. Tolta la pretesa di sostenibilità, l’inutilità della sottolineatura dei vantaggi pleurici dell’intero comparto abitativo; tolte finanche tutte le ragioni concrete per le quali basterebbe un solo secondo, uno solo, per dire si alle due ruote e no alle quattro, se non si capisce che l’unica maniera per salvaguardare l’impatto estetico ed etico della vena storica del capoluogo, Via Arpi, è l’eliminazione totale dei gas di discarico e di quell’inutile ferraglia policroma che ci incaponiamo a chiamare auto, saremo sempre a livello zero.
LA VIABILITA’ IMPOSSIBILE. Livello a cui, ad oggi, Foggia giace. Via Arpi, una strada lunga 800 metri, condita di chiese, piazze, esercizi commerciali, una sede universitaria e svariate associazionistiche. Via Arpi si diceva, un agglomerato di domus nullius. Un fiume in pietra perennemente ostruito, un fluire rumoroso, un inutile arteria grigia. Stretta, ma talmente stretta che la viabilità ne è visivamente impossibile. Ed invece è una discarica a cielo blu di macchine. Macchine in transito, macchine sui marciapiedi. Macchine ferme in corsie, macchine che scavalcano altre macchine appoggiandosi con due ruote sul marciapiede. Macchine parcheggiate nelle piazze loro interdette. Macchine finanche dirimpetto alla cattedrale, con buona pace di ipotetici dissuasori e pali talmente tanto inutili da consentirvi il passaggio di camion, furgoni e suv. E, ovviamente, motorini.
WWW.PROIBIZIONE. FG. Tutto questo, sia ben chiaro, sarebbe derubricabile all’indirizzo della decenza urbana www.proibizione.fg. E, in effetti, lo è. Piazza De Santis, per esempio, è assolutamente no fly zone per motori di qualsivoglia i tipologia. Per non parlare di Piazzetta Santa Chiara, Piazza Baldassarre e Piazza Nigri. Di auto, per imposizione della segnaletica, non dovrebbe esserci neppure la sagoma. Men, women, child uber alles. Ma, si sa, specie a Foggia, non necessariamente la pratica deve corrispondere all’impostazione teorica. E quindi è vero l’opposto. Ed ogni buco è trincea per un parcheggio. Che tanto più disturbante è, tanto meglio riesce nell’intento.
TUTTI I RISCHI DELLA BICI. Questo, ma non le bici. I velocipedi no, non devono avere altra possibilità che quella incresciosa del niente. Ogni ciclista, su via Arpi, deve tramutarsi in un essere mitologico. Metà Patrick De Gayardon dei tempi migliori (prima della modalità homelette) e metà John Nash. Rapido nell’azione e nel pensiero. Impossibile, infatti, percorrerla placidamente, impedendo al cuore di impazzare come una batteria di Mike Portnoy. Resettato per forza di cose l’obbligo di ciclare ad un metro dal marciapiede. A stento ci arriva ad essere larga un metro, Via Arpi. Nei tratti peggiori, con le macchine in corsa e l’inevitabile doppia fila (più presente nell’immaginario dauno del progetto moldauno e della provenienza federiciana anche del box doccia di casa propria), la percorrenza è sinceramente rischiosa. Ed allora vale la pene scendere di sella e farsela a gambe, bici trattenuta con mani sul manubrio.
TUTTI CONTRO IL PALO. Però il vero dramma, quello che attanaglia ad esempio Tony Dembech, è l’altra faccia della medaglia. Complementare. Ovvero, la totale assenza di rastrelliere e posti per le bici. Non una piazza che ne possegga una. C’è la Facoltà di Lettere, centinaia di studenti, e neppure un posto per le bici. C’è la Cattedrale (anche se, poi, sarebbe meglio dire, c’era una volta la Cattedrale) e nemmeno uno spazio pensato per ospitare le due ruote. C’è la Fondazione Banca del Monte, il Museo, il Conservatorio. Ci sono negozi e locali, le chiese e gli ipogei. Ci sono due scuole elementari, c’è il mercato Arpi, quello che affaccia sulla parallela Via Manzoni. C’è tutto questo piccolo mondo attivo e di parcheggi per incatenare quel congegno faticoso e gommato che Albert Einstein paragonava addirittura alla vita, neppure uno straccio. Si disegnano così panorami involontariamente olandesi. Come ad Amsterdam, i velocipedi si incollano l’un l’altro e, tutti insieme, alle tubature esterne per il gas, ad un cartello stradale, ad un tubo per lo scolo dell’acqua reflua. Catene ai telai ed ai raggi perchè altra soluzione non c’è. E, qualora anche ci fosse, rischierebbe di scompaginare i meccanismi sottili della due ruote.
UNIFG. Le più vicine rastrelliere sono quelle di Palazzo di Città e di Palazzo Dogana. Una dozzina di posti sono anche in Largo Civitella. Ma lo sfascio e la sporcizia sono abbondanti e nessuno vorrebbe avvicinare le mani a tanto rottame e lordura. Ed allora, viene da chiedersi, cui prodest? A chi giova tanta sciatta non curanza? Qualche tempo fa, i Cicloamici Fiab tentarono una forma estrema di collaborazione con l’Università. Finiti i tempi d’imperio di Antonio Muscio e con Giulio Volpe in sella all’ente di Via Gramsci, diventava lecito attaccare il bocchettone della normalità alla pompa della speranza. I contatti fra Ateneo e Fiab si moltiplicarono, anche alla luce dei progetti rilanciati dall’ente in Via Arpi, con un restyling curato alla meno peggio. All’Unifg, Dembech propose le rastrelliere migliori in circolazioni. E, per giunta, tra le meno dispendiose. Ovvero, le “Verona”. Nome scaturito dalla città di produzione, la cui sensibilità fu talmente grande che, la fabbrica ed i suoi ideatori scelsero di fare un atto di democrazia: non misero su il brevetto. Ognuno può produrre come, quando e quanto vuole.
Ovviamente non è bastato. Troppi, evidentemente, i 600 euro necessari per ogni gruppo da 6. Almeno, questa la verità addotta dalla segreteria del Rettorato. Non se ne fece nulla. Con i risultati che vediamo. Vale a dire, nessuno.
[Con la fattiva collaborazione di Tony Dembech, Presidente dei Cicloamici Fiab Foggia]
Link: Reportage mobilità sostenibile Foggia, Stato Quotidiano, puntata n. 7