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Per il bene comune /"Teorie su equità e giustizia sociale" (Franco Angeli-editore) / Note di lavoro/ (2)

Creato il 21 settembre 2012 da Marianna06

 

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Per Habermas, proprio perché la democrazia, è un sistema mutevole e insieme vulnerabile, come sostiene anche Ginsborg, il quale in merito esprime addirittura un pessimismo di fondo notevole fino a dire con chiarezza che essa non c’è, non esiste, la tecnica allora – egli precisa - padrona quasi assoluta ormai del nostro tempo, essendo una scelta ideologica umana, potrebbe tradursi in una manipolazione strumentale della realtà  e per questo è indispensabile che essa sia tenuta sotto controllo. Pena una certa limitazione per l’uomo, per la società stessa, del momento creativo ed espressivo libero.

Un punto questo del pensiero del “nostro” su cui, comunque, non è mai abbastanza il tempo per soffermarsi a fare una qualche riflessione. Anche senza volere disconoscere (sarebbe assurdo e anti-storico), a priori, i benefici apportati dalle molteplici applicazioni della tecnologia nel mondo d’ oggi.

 

Nello scritto del prof. Fabio Lelli, sempre all’interno del nostro testo di riferimento, si argomenta, invece, della giustizia intesa come equità, tenendo presente il pensiero di John Rawls.

Come già nella sua epoca sosteneva il Montesquieu nel noto “Lo spirito delle leggi”, John Rawls sottolinea che tutti i beni sociali principali devono essere distribuiti in modo uguale,tenendo ben presente quelli che nella società sono i soggetti più svantaggiati. Punti di partenza e opportunità, secondo Rawls, devono essere pari se parliamo di giustizia equa.

Le disuguaglianze di reddito, che scaturiscono dalle abilità effettive del singolo sono ammissibili. Quello che non lo è, è quando esse  sono tali perché legate a condizioni irreversibili sia sociali che naturali.

Le differenti condizioni di vita,di salute e d’ istruzione, per esempio,  di un bambino che nasce, cresce e vive in Europa e di un altro che, invece, nasce e cresce nel continente africano o nei paesi poveri del sud-est asiatico o dell’America latina, non si equivalgono affatto.

In questo  secondo caso occorre intervenire politicamente ed economicamente per fare in modo che il “gap” gradualmente si colmi. Ma lo stesso “gap” può riscontrarsi e si riscontra realmente, purtroppo , anche nelle nostre stesse società del Nord del mondo (Europa-Usa..etc.).

Ecco che la proposta di Rawls è quella di creare allora, in quello che lui chiama “lo statuto fondamentale di un’associazione umana bene -ordinata”, la convergenza di un comune accordo sui criteri dell’ “equa distribuzione”, pur nella consapevolezza certa che obiettivi e fini degli individui variano da società a società. Insomma il pensiero di Rawls è che è indispensabile per un effettivo cambiamento stabilire ,in via preliminare, una “pubblica concezione di giustizia” per un’equa distribuzione dei beni essenziali. E perché questo , necessita lacerare il”velo d’ignoranza”, la cosiddetta “finzione teorica”, che è la posizione originaria che impedisce la cooperazione tra individui.

Se sono ingiuste, leggi e istituzioni, devono essere abolite o riformate.

Referente principale di un governo “civile” è la persona con tutto il suo bagaglio di bisogni e desideri e l’accordo sarà figlio di una scelta morale, al tempo stesso individuale e collettiva, fatta però in autonomia, piena razionalità, libertà e uguaglianza dalle persone.

Massimizzare  i beni principali (maximum minimorum), fermo restando l’esistenza di ineguaglianze, è quel percorso che può portare a migliorare il più possibile le posizioni più svantaggiate del gruppo meno fortunato anche se, magari, nel lungo periodo.

Con il prof. Marco Galletti viene affrontato il tema della giustizia intesa come virtù in Alasdair MacIntyre, filosofo scozzese, nativo di Glasgow, appartenente come formazione alla scuola di Oxford, docente di filosofia morale e di religioni.

Egli, innamorato di Aristotele e del pensiero di Tommaso d’Aquino, nella sua visione teoretica,al di fuori delle mode culturali del  tempo,riesce a dimostrare che, prima ancora di Marx, con  gli scritti di Hegel il giovane e quelli poi della piena maturità, il marxismo è  figlio del cristianesimo.

Perché nella religione cristiana,e in tutte le religioni, abbiamo comunque l’ espressione di  determinate strutture sociali e di particolari concezioni politiche. Esse, infatti, giustificano per autorità divina un certo ordine sociale e insieme forniscono un modello di comportamento umano.

MacIntyre  contesta le visioni di pensiero di Nozick e di Rawls in quanto le trova, in merito ai concetti di giustizia e società, oltre che incompatibili tra loro come realmente sono, un semplice insieme di regole buone per una concezione liberal-individualistica nel caso del primo, diametralmente all’opposto nel caso del secondo, il quale privilegia una democrazia che deve tenere conto essenzialmente di quella parte della società, che si trova in condizione di forte svantaggio, offrendole poi strumenti per uscire dall’impasse.

E così il filosofo scozzese difende e propone la tradizione della virtù, che è risultata essere incompatibile con l’ordinamento politico  moderno, il quale sovrappone a tutto e a tutti il “mercato” e i suoi valori, come constatiamo ogni giorno, e naturalmente con esso  l’individualismo più sfacciato.

MacIntyre paragona il nostro tempo un po’ ai secoli bui dell’alto Medioevo quando, appunto per uscire dal fondo di una terribile crisi, quella della decadenza dell’impero romano, si ricorse a privilegiare la comunità locale e le sue istituzioni, lavorando per esse.

Il monachesimo di San Benedetto,ad esempio, è un paradigma che fu fondamentale per quei tempi.

Infatti il”nostro” dice” con Aristotele che la giustizia è la virtù principale della vita politica.

Una comunità, che è priva  del concetto di giustizia, non è una comunità politica. I cittadini non hanno in essa alcun diritto di cittadinanza ed è cosa assai triste.

Il pensiero, in questo caso, corre alle numerose dittature sparse per il mondo conosciuto.

Le sue parole sono: “Ciò che conta è la costruzione delle “forme” locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possono essere conservate”.

In sostanza un localismo, forse, un tantino esasperato,considerate le dinamiche delle società odierne sotto qualunque cielo. 

(continua..)

 

9788820401078g

   a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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