Per il CSM, le nuove norme sulla responsabilità civile dei magistrati mina la loro indipendenza e autonomia

Da Iljester

Mi sovviene la battuta di qualche giorno fa del ministro Alfano relativamente alle intercettazioni telefoniche sul caso «P4». Vi ricordate? Il ministro che si avventura e dice che gli elementi raccolti intorno al caso «Bisignani» erano tali da essere irrilevanti rispetto al quadro delittuoso contestato. E ricordate come reagirono i magistrati dell’ANM? Beh, se non lo ricordate, ve lo ricordo io: replicarono che spetta al magistrato valutare tali elementi e la loro gravità, e non certo a un ministro.
Bene, se questa può essere considerata un’acclarata verità – e lo è, perché è il potere giudiziario che deve accertare le violazioni di legge e non certo il potere esecutivo – è altrettanto acclarata come verità che spetta al potere legislativo (ed esecutivo in quanto espressione di quello legislativo) valutare la portata normativa di una riforma di legge e valutarne l’opportunità. Non certo dunque al potere giudiziario, di cui il Consiglio Superiore della Magistratura è la massima espressione costituzionale.
Probabilmente però i magistrati non la pensano allo stesso modo. Di fatto, come spesso accade nella nostra vita istituzionale, pare che qualche potere – il potere giudiziario – si sia arrogato il diritto-dovere di intervenire sempre e comunque quando vengono proposte e/o emanate delle leggi, fino a dilatare il proprio ruolo costituzionale per diventare un organo non più consultivo (in materia di ordinamento giudiziario), bensì un organo che interviene autonomamente, senza nessuna richiesta formale da parte dell’organo che per legge dovrebbe richiederne il consulto. Insomma, siamo al cosiddetto «disordine istituzionale», a un far west dove ognuno fa un po’ quel che gli pare e infrange i paletti costituzionali e legislativi quando c’è di mezzo la tutela degli interessi di categoria (o di casta).
Venendo comunque alla sostanza della questione, il CSM ritiene che le norme di riforma sulla responsabilità civile dei magistrati (che ricordiamo è stata fortemente voluta dal popolo italiano a seguito di un referendum) non vada bene perché non solo è prevista (orrore!) la responsabilità per dolo o colpa del magistrato, ma anche perché egli risponderebbe là dove «vi sia una manifesta violazione del diritto». In altre parole, secondo i giudici del CSM, l’istituto porterebbe a una eccessiva dilatazione della responsabilità del magistrato con una conseguente soppressione della «clausola di garanzia» prevista dall’art. 2 della legge 117/1988, che tutela l’interpretazione normativa e del fatto da parte del giudice. Ergo, minerebbe l’indipendenza e l’autonomia del magistrato.
Personalmente non sono convinto di questo paventato pericolo. E non lo sono per due motivi. Il primo motivo è chiaro: chi è che dovrebbe accertare la responsabilità civile dei magistrati? Ovviamente i magistrati. E dunque di chi è la giurisprudenza e l’interpretazione delle norme sulla responsabilità civile? Ovviamente sempre dei magistrati. E allora non saranno per caso i magistrati a stabilire i limiti operativi delle norme sulla predetta responsabilità? Sì. Dire pertanto che la norma sulla «manifesta violazione del diritto» rischia di dilatare la responsabilità dei giudici e dei PM, è decisamente una ragione priva di fondamento, visto che saranno i magistrati stessi a dare alla norma la giusta dimensione applicativa.
Il secondo motivo è legato al concetto stesso di «manifesta violazione del diritto». La manifesta violazione del diritto è un concetto strettamente legato alla manifesta violazione di legge, e dunque a un’ipotesi accusatoria nella quale è ictu oculi evidente la violazione delle norme di legge o di quei canoni (o parametri) interpretativi ai quali il giudice dovrebbe attenersi nell’applicazione delle norme di legge e nel loro adeguamento al fatto. Non credo che il semplice discostarsi da un precedente giurisprudenziale possa mai integrare la manifesta violazione del diritto, se il giudice motiva adeguatamente la sua scelta interpretativa. Piuttosto, mi pare che la norma arginerebbe e non poco le motivazioni pretestuose, fumose e scarsamente circostanziate. Quelle, in altre parole, carenti in diritto e in fatto nelle quali emerge una palese e inaccettabile forzatura del dato normativo e fattuale.
In conclusione, a mia opinione, i magistrati – che sono soggetti alla legge quanto gli altri cittadini – non dovrebbero avere paura di essere responsabilizzati. Il principio della responsabilità civile, penale e amministrativa nell’esercizio della rispettiva attività professionale e lavorativa, è un principio che investe tutti: dal politico, all’avvocato, all’imprenditore, fino al manovale. Non vedo perché vi debbano essere categorie esentate da questo principio che garantisce e tutela, tra l’altro, il vincolo di solidarietà sociale.

di Martino © 2011 Il Jester 


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