Negli ultimi sette anni, con gli effetti della crisi finanziaria sotto gli occhi di tutti, un’altra crisi economica, con implicazioni profonde per tutti noi, è passata quasi inosservata: la crisi teorica dell’economia e del suo stesso insegnamento. La stagnazione dell’offerta didattica e di una pedagogia ridotta e riduttiva è durata decenni, nonostante ripetuti sforzi, da parte degli studenti, volti a cambiare questa situazione. Ora, nel pieno della crisi finanziaria globale, tali iniziative studentesche hanno trovato nuova linfa ed una rinnovata energia in diversi paesi tra cui Argentina, Austria, Brasile, Canada, Cile, Danimarca, Francia, Germania, India, Inghilterra, Israele, Italia, Nuova Zelanda, Scozia e Stati Uniti. Cosa più importante, gli studenti coinvolti in queste iniziative hanno trovato una causa comune nella promozione di un vero insegnamento plurale dell’economia. All’interno delle università il pluralismo significherà una più ampia varietà teorica e metodologica nei nostri libri di testo, ed una formazione più solida e reattiva. Fuori dalle università, invece, il pluralismo comporterà una più ampia gamma di opzioni nell’“inventario” degli strumenti dei nostri governi, per migliorarne la capacità di trovare soluzioni collettive ai problemi globali dell’economia, siano essi urgenti o più a lungo termine.
Il pluralismo cerca inoltre di costruire dei legami più forti tra questi due mondi e di integrare sempre meglio le teorie e gli strumenti acquisiti nell’ambito accademico, con le sfide morali, politiche, ambientali, culturali, nonché con molte altre di estrema complessità che caratterizzano il XXI secolo. Nessuna scuola di pensiero gode di un monopolio delle soluzioni a queste sfide, e data l’immensità delle conseguenze nel mondo reale del loro lavoro, gli economisti hanno la responsabilità di assicurare che la loro professione sia dotata di una diversificazione interna che le permetta di affrontare una simile complessità esteriore.
Il pluralismo teorico enfatizza il bisogno di allargare il raggio di scuole di pensiero rappresentate nei corsi universitari. In questo contesto è importante notare che non obiettiamo contro nessuna tradizione economica in particolare. Il pluralismo non è una scelta di campo, ma riguarda il sano incoraggiamento a un dibattito teorico che non può che rafforzare la professione dell’economista nella sua interezza. Una formazione economica onnicomprensiva è finalizzata a promuovere un’esposizione bilanciata alle varie prospettive teoriche che vanno dai più comuni insegnamenti dell’approccio neoclassico fino a quelle tradizioni largamente escluse come quelle classica, post-keynesiana, istituzionale, ambientalista, femminista, marxista e austriaca, per citarne qualcuna. Quando la maggior parte degli studenti di economia si laurea senza mai incontrare una simile varietà di prospettive durante gli studi, allora si capisce che tale percorso educativo si rivela insufficiente e soprattutto inefficiente. Basta immaginare un corso di laurea in storia dell’arte focalizzato solo sull’impressionismo, oppure un corso di scienze politiche che si concentri solo sul socialismo, e si potrà iniziare ad apprezzare i limiti di un tipico corso di economia.
Il pluralismo metodologico impone l’impiego di un ampio ed eterogeneo insieme di strumenti nell’analisi delle questioni economiche. Con ciò non si vuole sottostimare la necessità del rigore analitico-matematico e quantitativo-statistico. Ma troppo spesso gli studenti acquisiscono acriticamente le suddette competenze “tecniche” evitando le più elementari riflessioni epistemologiche: come e perché tali strumenti vadano utilizzati, la neutralità delle assunzioni e l’applicabilità dei risultati. Inoltre, esistono importanti aspetti economici impossibili da indagare esclusivamente per mezzo dell’approccio quantitativo: ad esempio, le istituzioni, le culture e la storia rappresentano elementi determinanti dei meccanismi e processi economici e, come tali, dovrebbero essere parte integrante dei piani di studio. Ciononostante, la grande maggioranza degli studenti non frequenta nemmeno un singolo corso di “metodi qualitativi” durante il proprio percorso formativo.
Il pluralismo interdisciplinare sviluppa ulteriormente il discorso metodologico, riconoscendo che l’economia è più efficace quando integrata con altre scienze sociali ed umanistiche. Così come le politiche economiche non prescindono dalle lezioni derivanti dalla politica, dall’etica, dalla psicologia, dalla storia, dalla sociologia e dall’ecologia, nemmeno l’insegnamento dell’economia dovrebbe prescindere da questi stessi ambiti. L’apprendimento interdisciplinare è vitale per fornire agli economisti la profondità cognitiva necessaria ad apprezzare le numerose implicazioni che le loro idee comportano per lo sviluppo globale.
Mentre gli approcci per implementare queste forme di pluralismo varieranno di luogo in luogo, le idee generali per il loro sviluppo dovrebbero includere le due seguenti linee guida:
• Verso un pluralismo teorico e metodologico: dare la priorità a docenti e ricercatori che possono essere fonte di diversità teorica nei programmi economici; ideare testi e altri strumenti di insegnamento a supporto di un’offerta formativa pluralista; dare la priorità nei giornali professionali a lavori pluralisti.
• Verso un pluralismo interdisciplinare: formalizzare le collaborazioni tra dipartimenti di scienze sociali e di studi umanistici o stabilire dipartimenti speciali che possano sovraintendere programmi che combinino l’economia e gli altri campi.
Il progresso su questi fronti richiede non solo la costruzione di un nuovo consenso attorno al pluralismo, ma anche che una varietà di altre sfide sia messa in evidenza, inclusa la ricerca di professori con una formazione pluralistica e di fondi per sostenere le iniziative sopra elencate. Di conseguenza, se speriamo di dotare la professione dell’economista di un profilo pluralista in un arco di tempo che si accordi con l’urgenza della crisi globale, allora dobbiamo iniziare a connetterci, ad essere coordinati e creativi nella ricerca di nuove soluzioni. Con questo obbiettivo in mente i nostri network studenteschi hanno iniziato a premere per un cambiamento, e a superare le lacune educative organizzando seminari, conferenze e altre iniziative creative.
Abbiamo bisogno di studenti, professori, ricercatori e sostenitori da tutto il mondo che si uniscano a noi per formare la “massa critica” necessaria al cambiamento. Visitate il sito (www.isipe.net o www.rethinkecon.it) per capire come supportare la nostra causa. Come la grande crisi finanziaria ci ha ricordato, nell’economia le idee vanno ben oltre le aule universitarie, e raggiungono ogni angolo della nostra vita. La spinta per il pluralismo non è semplicemente uno sforzo per rafforzare la professione dell’economista, ma uno sforzo per rafforzare le fondamenta stesse del benessere umano e della nostra abilità collettiva di prosperare.
(Rethinking Economics)
Studenti promotori in Italia:
Nicolò Fraccaroli (LUISS) portavoce RE Italia, Mattia Maria Achei (LUISS), Giacomo Bracci (Università di Bologna), Michele Cantarella (LUISS), Luca Eduardo Fierro (Università di Bologna), Ivan Invernizzi (Università degli studi di Bergamo), Marco Schito (LUISS), Roberto Geno Volpe (LUISS)
Con il sostegno in Italia del giornale economico: Economia e Politica
(da Economia e politica, 5 maggio 2014)
19 giugno 2014