Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sarà casuale che oggi chi ha cercato di entrare nel sito del governo che reca le informazioni sulla cosiddetta riforma della scuola si sia trovato davanti a questa scritta inquietante? Gli autori di un attacco potrebbero cercare di rubare le tue informazioni (ad esempio password, messaggi o dati della carta di credito) da labuonascuola.gov.it, con il consiglio di tornare in “area privata”. Come se tutto il contesto nel quale è nato questo sciagurato provvedimento non fosse già un’area così privata che di più non si può, dove tutto si può vendere e comprare, dove l’ideologia che l’ha animata è quella di trasformare l’istruzione, la formazione, il sapere in merci e i giovani in merci da sbattere sul mercato perfezionando l’empia aspirazione dei due geni della pedagogia, la Moratti e la Gelmini, in modo che vocazioni, talenti, predisposizioni vengano sacrificati nel rispetto del marketing applicato all’occupazione sempre più precaria, e dove legittimi aneliti ad affermare le proprie capacità devono essere secondarie rispetto a ambizione, fidelizzazione, prevaricazione insomma a quella competitività che vorrebbe riportarci all’unica legge che questo ceto dirigente rispetta, quella della giungla.
Molte volte abbiamo scritto e oggi il Simplicissimus qui https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/07/10/la-buona-scuola-la-cattiva-grecia-storia-di-sconfitte-annunciate/ lo ricorda senza indulgenza, che insegnanti e genitori appartengono a quell’elettorato che ha creduto nelle promesse del premier e segretario di partito in ambedue i casi affetto da bullismo, che di fronte all’inasprirsi della lotta di classe alla rovescia condotta contro il lavoro, i suoi diritti, le garanzie conquistate in anni, quella dei docenti è stata certamente una corporazione molto appartata che ha esercitato una colpevole “astensione”, e che comunque questa scuola di oggi è il frutto di un susseguirsi di interventi uno più perverso dell’altro da parte di riformatori che hanno sempre guardato ad essa come bacino di consenso da conquistare con regalie e azioni arbitrarie, anziché promuovere un new deal dell’istruzione e della cultura. E che negli ultimi vent’anni, senza esclusione, si è lavorato intorno a una progressiva privatizzazione del settore, quindi ad una esaltazione in favore delle materie tecniche, dell’offerta perlopiù di un’attrezzatura di base per futuri occupati così poco preparati da essere disponibili a qualsiasi mansione prevista dalla nuova schiavitù, penalizzando quelle che invece promuovono la formazione, la potenzialità ad apprendere, la curiosità e il desiderio di approfondire dando opportunità al mercato ma soprattutto a vocazioni e talenti.
Così siamo arrivati a quest’ultima aberrazione che si pretende di far passare come una specie di aggiustamento tecnico in nome di una maggiore efficienza, e che va nel senso di una visione della formazione intesa come addestramento, come acquisizione di competenze in grado di sviluppare unicamente capacità di eseguire correttamente, e cioè velocemente ed efficacemente, protocolli di azioni ripetibili e uniformi a ordini precostituiti. Nel rispetto quindi di una realtà e di uno sviluppo fondato sulla concorrenza, sulla sopraffazione, sull’inganno.
E non poteva essere diversamente: il lungo processo di colonizzazione del modello di sviluppo e sociale statunitense ha condizionato interamente le nostre esistenze e anche il nostro immaginario, quello personale e quello politico. E poco importa che da anni l’America abbia fatto autocritica e oggi stia rivedendo le basi della sua istruzione e della sua pedagogia: i nostri imitatori pensano talmente in piccolo anche rispetto all’ideologia della casa madre, da chiamare riforma un ridicolo articolato che si fonda su pochi squallidi capisaldi. Rafforzare una gerarchia autoritaria, sul modello della conversione definitiva della democrazia in tirannia, sancire una volta di più la potenza del ricatto come sistema di governo: «non si possono fare le assunzioni dei precari nella scuola così com’è», riconfermare il primato dei soldi, introducendo criteri e requisiti che premino alcuni istituti sulla base dell’incremento delle disuguaglianze, grazie ad indicatori territoriali, di ceto, di appartenenza a classi agiate, di possibilità dei genitori di “contribuire” volontariamente condizionando scelte pedagogiche, selezione degli insegnanti, compiuta da una figura dispotica, indirizzi di studio.
Da settembre nella scuola regnerà il disordine: il ddl è stato approvato ma le assunzioni non saranno per tutti (ad alcuni sarà generosamente concessa la passibilità di fare un altro concorso, quelle dei precari sono diminuite — da un annuncio all’altro, da un emendamento all’altro — da 148.000 a 100.000 circa fino ad arrivare alle attuali 60.000, rendendo poco credibile perfino il nodo scorsoio con il quale si è impiccato un Parlamento che l’ha comunque preferito alla lealtà al mandato di rappresentare l’interesse generale.
Qualche giorno fa Luciano Canfora ricordava come « il referendum fosse lo strumento della sovranità popolare, che veniva utilizzato nell’età antica. Chi lo critica si mette dalla parte degli oligarchi». Aggiungendo che se il modello della delega è ormai logoro, il referendum rappresenta un correttivo, un modo per restituire voce al cittadino comune e rammentando come fu Jean-Jacques Rousseau a dire che il popolo inglese è libero soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento, ma appena questi sono eletti ridiventa schiavo.
Sentirete tanti dire che il referendum è un costo futile i tempi di carestia, altri diranno che i refrendum in Italia sembrano fatti per essere traditi, qualcuno tirerà da una parte e dall’altra quella pelle di zigrino che è diventata la Costituzione con le sue regole, che ogni giorno vengono disattese, oltraggiate in attesa della sua definitiva cancellazione.
Ma l’istruzione pubblica interessa tutti, docenti, alunni, genitori, nonni, zii, rami secchi, creature non ancora nate. Sse il referendum è lo strumento per riprendersi la cittadinanza, torniamo ad essere cittadini.