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Per la crescita: contro il gap di produttività e il “grande spreco” di risorse umane

Creato il 03 giugno 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

logossContinuano gli interventi chiesti ad alcuni economisti sui 5 o 6 provvedimenti prioritari per rilanciare la crescita e L’OCCUPAZIONE PRODUTTIVA in Italia. Sono state già pubblicate le risposte di Paolo Pini, Paolo Pettenati, Marcello Messori, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni, Anna Pellanda e la prima parte dell’intervento di Lilia Costabile. Oggi pubblichiamo la seconda parte della risposta di

Lilia Costabile, Prof. ordin, di Economia politica, Univ. Federico II di Napoli

Crescita della produttività del lavoro e crescita dell’occupazione sono i due obiettivi intermedi per una strategia di rilancio della crescita. La produttività e l’attivazione del lavoro sono infatti i due fattori da cui dipende il reddito pro-capite (un indicatore, sia pur imperfetto, della nostra ricchezza), che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta ci dà gravi motivi di preoccupazione, per il suo ristagno dapprima relativo, poi recentemente anche assoluto. Il ristagno della produttività, inoltre, determina la perdita di margini di competitività internazionale.Contabilmente, il prodotto pro-capite è dato dal prodotto tra la produttività del lavoro e l’input di lavoro, quest’ultimo essendo scomponibile nel tasso di occupazione e nel numero di ore lavorate da ciascun occupato.[1]

Il nostro deludente risultato in termini di PIL pro-capite si basa su una ricetta che combina la bassa produttività oraria del lavoro con un basso tasso di occupazione e un monte ore per addetto molto elevato. È il contrario del florido modello dell’Europa centro-settentrionale, che ottiene risultati molto più soddisfacenti unendo all’alta produttività oraria e agli alti tassi di occupazione un basso numero di ore lavorate per addetto.

Il duplice gap di produttività e di occupazione rispetto ai nostri partner europei, agli USA e ad altri Paesi è un dato strutturale della nostra economia, pre-esistente alla crisi economica in atto, e quindi da aggredire con provvedimenti strutturali, in una prospettiva di lungo periodo, combinando tre elementi: (1) misure finalizzate alla crescita della produttività e (2) misure finalizzate alla crescita dell’occupazione, anche part-time, nell’ambito di (3) una riarticolazione territoriale e, soprattutto, settoriale della nostra struttura economica.

(1) È necessario, per la produttività, rilanciare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo, e poi anche un rinnovamento del quadro delle relazioni industriali, favorendo il ristabilimento di relazioni di fiducia e di cooperazione tra imprese e lavoratori, anche attraverso l’incentivazione dei contratti a tempo indeterminato, che favoriscono l’investimento in capitale umano specifico.

(2) Per accrescere l’input di lavoro, si auspica una forte iniziativa per rilanciare l’occupazione soprattutto di giovani e donne, la cui esclusione produce un grande spreco di risorse e una forte perdita di PIL, soprattutto se si tiene conto dei fenomeni di emigrazione, di disoccupazione, di scoraggiamento e di mismatch [non coordinamento] occupazionale dei/delle laureati/e (nonostante, come è noto, l’incidenza dei laureati sul totale della nostra popolazione sia molto bassa nel confronto internazionale).

(3) Le due linee di intervento convergono nell’idea di un rilancio della crescita basato su un nuovo “dualismo” settoriale, come avvenne nel periodo postbellico e come tuttora avviene nelle economie dei nostri partner più competitivi.

Il primo settore traina la crescita attraverso l’aumento della produttività, grazie anche al suo radicamento nelle produzioni in più rapida espansione dal punto di vista della domanda mondiale, caratterizzate da una forte dinamica dell’innovazione, specie di prodotto. Dopo decenni di smantellamento delle nostre industrie di punta (che si estende, oggi, anche al nostro settore del lusso, preda della finanza francese, e a quello della grande distribuzione),  questo può sembrare il libro dei sogni, ma occorre ricreare la convenienza a investire, e attrarre le risorse che, nell’enorme liquidità che circola per i mercati del mondo, cercano approdi sensati. Una priorità per la sopravvivenza ancor prima che lo sviluppo manifatturiero è la convergenza a livelli almeno europei del costo dell’energia. Ridurre i costi dell’energia (per es. guidando ciò che rimane delle PPSS [Partecipazioni Statali] verso le energie alternative oggi trascurate), significa porre un argine alla progressiva perdita di competitività delle nostre produzioni ed – al contempo – sviluppare settori di punta nei quali non abbiamo decisivi svantaggi tecnologici, specie se ci orientiamo verso fonti come l’eolico, il solare e la geotermia nelle quali l’Italia – specie nel Mezzogiorno – ha un enorme potenziale. Inoltre, dovremmo “occupare” il ruolo che, nella fase della globalizzazione, potremmo ricoprire in posizione privilegiata nel Mediterraneo, come crocevia dello sviluppo degli scambi tra estremo oriente e nord-Europa: un obiettivo che può realizzarsi avviando piani di co-operazione pubblico-privato (anche internazionale) nella logistica. Sono, queste, tutte strade che richiedono forti investimenti, specie in ricerca e sviluppo.

Nel secondo settore, viceversa, l’obiettivo è fissato esogenamente in termini di occupazione, come è necessario in questa fase di crescente emergenza sociale. La produttività qui non deve tuttavia necessariamente ristagnare. Il settore può essere incardinato tra gli altri nelle aree dei beni culturali, ambientali, paesaggistici e nel turismo, che tante potenzialità offre nel nostro Paese, ma nel quale si è registrata negli anni una forte perdita di competitività (per esempio in termini di presenze di turisti stranieri). Si tratta di un settore tutt’altro che “arretrato”, che può fare da veicolo a – ed a sua volta alimentarsi della stretta connessione con – le nuove tecnologie, con le energie rinnovabili, con la riqualificazione dell’industria edilizia e dei centri urbani. Stime recenti mostrano che i nostri partner europei assorbono in questi settori mano d’opera giovanile in misura molto superiore a quanto avviene nel nostro Paese. Un altro settore da sviluppare è quello dei servizi alle famiglie, soprattutto nel campo della assistenza ai familiari dipendenti (bambini e anziani): un settore la cui espansione, oltre a fornire uno sbocco occupazionale, favorirebbe dal lato dell’offerta la partecipazione femminile al mercato del lavoro, come gli studi sui sistemi di cura hanno mostrato.


[1] Cioè    =   =  ( )

dove Y è il PIL, POP è la popolazione, H è l’input di lavoro, N il numero degli occupati.


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