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Dopo settimane di braccio di ferro tra, da un lato, i banchieri e l’amministrazione centrale e, dall’altro, cittadini, giudici e le autorità di alcuni Stati, negli Usa arrivano i primi dati che riassumono l’eventuale costo di un congelamento dei pignoramenti. Per l’industria bancaria americana il “conto” potrebbe arrivare a 2 miliardi di dollari per ciascun mese di ritardo, e potrebbe arrivare ad un totale di 6 miliardi. Le cifre sono state indicate ieri da Paul Miller, analista bancario di FBR Capital Markets, che ha ipotizzato, appunto, un ritardo complessivo di tre mesi. La stima, infatti è di mille dollari di perdita mensile per ciascuna proprietà immobiliare.
Nonostante ciò la scorsa settimana Bank of America, in seguito alle pressioni di giudici, gruppi di consumatori e di alcuni parlamentari, ha deciso di sospendere le esecuzioni dei pignoramenti, in attesa di verificare con maggiore attenzione tutti i dossier relativi ai proprietari di immobili insolventi. Una decisione simile è stata presa anche (ma solo in 23 Stati) da JPMorgan Chase e da Ally Financial.
Ma se le cifre indicate da Miller si avvicinano davvero alla realtà, è chiaro il perché della resistenza del resto del sistema finanziario. Così come si comprendono le preoccupazioni di chi, come il presidente della commissione bancaria del Senato, Christopher Dodd, pensa che «una moratoria generalizzata sarebbe probabilmente insensata. Ci sono molti istituti che hanno operato in modo corretto. Inoltre ciò potrebbe tradursi in un problema più ampio per l’economia del Paese». Visione condivisa anche dal consigliere della Casa Bianca David Axelrod. Resta da risolvere, però, il problema delle centinaia di cittadini ai quali è stata tolta la propria abitazione senza neanche - per ammissione degli stessi dipendenti delle banche - aver aperto le relative pratiche.
Dott Fabio Troglia
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