Il primo di ottobre è una di quelle date che passano alla storia perché ci si rende conto che svegliarsi che fa ancora buio dovrebbe essere annoverato tra i crimini contro l’umanità, e per girare il dito nella piaga c’è chi ti fa notare che non è niente, considerando l’imminente cambio dell’ora. Il dottore mi ha rivelato che quella è la fase peggiore per gli ipertesi perché la pressione è più alta al mattino, io non so, ho tante altre cose per la testa quando mi alzo che non mi sento nemmeno le orecchie fischiare. Osservo il buio fuori e penso che non è naturale, l’alba è dopo che sorge il sole ed è contro tutto il resto che bisognerebbe fare le crociate, altro che matrimoni gay. Il vicino imprenditore che tira fuori la Golf dal garage per aprire l’impresa alle sei del mattino, ecco chi è contro natura. Ed è talmente immane lo sforzo a tirarsi su nei cambi di stagione che poi fino a quando non digito la password della posta elettronica cado in una depressione che non ha confronti. Vi giuro che mi viene persino da piangere. Per fortuna che c’è un altro momento della giornata che dà grandi soddisfazioni. L’origine del mio ritmo biologico di abbioccarmi intorno alle diciotto barra diciotto e trenta si perde nella notte dei tempi e, da qualcosina come quindici anni, coincide con il viaggio di ritorno a casa sui mezzi pubblici. Posso fare qualunque cosa in quella fascia oraria che se chiudo un occhio poi mi si chiude anche l’altro e patatrac. Ecco, il primo di ottobre è una di quelle date che passano alla storia perché la forbice luminosa, che non ha niente a che vedere con la falce del triste mietitore ma è un modo di definire la parte della giornata esposta alla luce del sole, si riduce a tal punto che nei due valori di inizio e termine – il risveglio dalla notte e il risveglio dall’abbiocco – apro gli occhi e mi chiedo che cosa mi abbia declassato nel mio regno di appartenenza ad animale notturno ed è lì che vorrei tanto sporgere il braccio fuori dal plaid e riportare l’abat-jour al suo stato meno utile.
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