Che la chiamavano melanconia, o melancolia (anglicismo?), oggi solo depressione, disturbo affettivo, distimia (cfr. ICD 10 o DSM 4, vedi se la classificazione viene fatta dagli europei o dagli americani.)
Che Ferrand, nel 1610, studia come malattia d’amore, o malinconia erotica, o erotomania, insistendo sulla distinzione tra sintomi soggettivi e segni obiettivi per una medicalizzazione della sessualità femminile (la malinconica è femmina), e da lì moralizzazione e interdetto.
Che è non mangiare, non dormire, non volere, non provare piacere, rallentare, regno dell’a privativo, astenia, abulia, adinamia, anedonia, tono dell’umore flesso. Deflesso. Ah! Per almeno tre mesi e senza evento traumatico, lutto, abbandono, veri.
Che la verità è quella che appartiene al mondo apparito, il semplice succedersi di eventi documentabili, osservati dalle spanne della cronaca e dai riti della letteratura del quotidiano.
Che in fondo al blocco malinconico c’è, dice la psicoanalisi, un lutto comunque, una morte della quale ci si sente responsabili, macché ci si sente, si è responsabili. Di qualcuno si è desiderata ardentemente la morte.
Che la scuola inglese, il fenomeno Klein, ha indagato a fondo analizzando bimbetti dueenni ( e il pistolino del papà dentro la fessurina della mamma e lo scontro incendiario dei camioncini e due giocattolini scaraventati uno contro l’altro e a chi si fa la bua e perché) arrivando ad individuare una posizione, la posizione depressiva, successiva alla schizoparanoide e più evoluta di questa visto che il bimbo è arrivato, dalle parti dell’anno, a riconoscere il proprio oggetto d’amore per intero e scopre che è proprio la stessa persona (parziale) che ha odiato alacremente quando non lo calmava quando non lo nutriva quando non c’era. E si sente l’artefice della propria possibile distruzione.
Che nasce da questi primi sentimenti d’impotenza, realizzazione dell’effettiva impotenza dopo l’onnipotenza intrinseca, e si conferma nel successivo mondo relazionale, l’innamoramento edipico, altra verità illusa, un rivale da sterminare.
Che quando non è nucleo di conflitto allargato a parti importanti del sé, e quindi difesa eccezionale dalla disgregazione, è fenomeno ubiquitario, reattivo, funzionale, e partecipa alla costruzione di uomini e donne interi, consapevoli, sensibili, reattivi ed attenti alle possibili morti degli altri.
Che quindi non ha linguaggio altamente specifico nei sogni, non essendo struttura ma sintomo, parte di un tutto più vasto. Quando parla nei sogni in niente è diversa dal movimento diurno, fa la voce bassa, lentissima, non parla proprio, abbassa lo sguardo, è mortifera, anche vuota, lugubre, senza progetto, senza avvenire, definitiva, sospesa, evitante, sommessa, colpevole, lacrimosa, lamentosa. Talvolta profondamente irritata e tutta concentrata sul dolore del corpo, sulle sue disfunzioni.
Che è, analizzata, quanto si collega ad un omicidio, per cui nasconde sangue, violenza, vendetta. Questo magari il sogno di un analizzando te lo dice, visto che il sogno svela nascondendo (è una sorta di risoluzione di rebus interpretare sogni), simbolizzando, condensando, sintetizzando, facendo pars pro toto. La realizzazione di un desiderio? E allora da qualche parte, nel sogno, il rivale (la rivale) più accessibile verrà fatta fuori, eliminata, ridimensionata, sostituita, vanificata, banalizzata, quasi sempre mascherata da qualcun’altra. Ma alla prima madre sarà difficile fare qualcosa, è praticamente intoccabile, fondo scuro nocciuolo psicotico simbiotico, la parte privata del sé.
Che, tornando al millessei, a pagina quarantotto di “Malinconia erotica”, si legge: Che specie di occhi abbiano gli innamorati malinconici.
” Secondo Ippocrate gli occhi più che qualsiasi parte indicano la condizione del corpo: ” scopri la condizione degli occhi e scoprirai la condizione del rimanente corpo”. Io ho avuto modo di osservare che questo principio è valido anche per gli innamorati i cui occhi, osservano Avicenna, Paolo d’Egina, Oribasio, Haly Abbas e Alsaravius (nei luoghi già citati), sono profondi e infossati, aridi e senza lagrime, e ciononostante in continuo movimento e sorridenti. Alessandro d’Afrodisia nei suoi Problemi ciama questi occhi infossati (parola greca), e Rufo d’Efeso (altra parola greca). Stefano d’Atene afferma che questo è provocato dalla debolezza del calore naturale e dalla dissipazione degli spiriti che abbondano negli occhi, oppure dalla malignità degli umori, o infine dall’atrofia.
Ma noto anche un numero di contraddizioni tra questi autori, in quanto da un lato Avicenna, Oribasio e Alsaravius affermano che coloro che coloro che soffrono di malinconia erotica hanno corpi magri ed estenuati, sia perché mangiano e devono poco, che per la corruzione della digestione provocata dal ritiro degli spiriti e del calore naturale dallo stomaco al cervello; dall’altro Paolo d’Egina scrive che ” tutte le altre parti del corpo rimangono in buona salute; solo gli occhi degli amanti sono colpiti”.
Christoforus à Vega, nel tentativo di giustificare Paolo, afferma che egli intendeva “per collapsum, un lento movimento verso il basso degli occhi”, ma io trovo questa spiegazione un po’ forzata, visto che lo stesso autore concorda con gli altri di cui sopra che le ciglia degli innamorati sono in perpetuo movimento (sempre coniventes), che Ippocrate chiama (parola greca) nelle sue Epidemie. Mi sembra che Galeno inclini verso l’opinione di Oribasio e Avicenna quando afferma, nel libro II delle Crisi, che gli occhi infossati e il pallore sono segni e sintomi di coloro che soffrono di tristezza e simili passioni.
Vorrei cercar di accordare questi autori, affermando che l’opinione di Oribasio e Avicenna è più in conformità con la ragione e con l’esperienza. La stessa opinione era stata anticipata dal divino filosofo [Platone], in quel passo del Convito in cui dice che l’amore, per sua natura e per vizio ereditato dalla madre Penia o Povertà, è duro, secco, magro e sporco, (parola greca) dato che, per l’intenso pensiero e l’ansietà, l’innamorato perde la salute. Se Paolo d’Egina nega tutto ciò, è perché egli si riferisce a quelli che sono innamorati, ma non a coloro che sono stravolti dalla passione. Se questa spiegazione non vi soddisfa mi aspetto che me ne forniate una migliore.” (Jacques Ferrand, Malinconia erotica -trattato sul mal d’amore- a cura di M. Ciavolella, Saggi Marsilio, 1991)
Che mi fermo per ora qui, intanto che vedi come la diagnostica in psichiatria sia una della danze più subdole della storia dell’uomo.