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Per te 1/3 .::. I Racconti di Nasreen

Creato il 23 dicembre 2010 da Nasreen @SognandoLeggend

Per te

Titolo: Per te
Fandom: Racconto 
Autore: Nasreen
Betareader: Billaneve
Pairing: Uomo/Donna
Rating:  PG13
Words:

Sinossi: Crescere, si sa, è una fatica. Inevitabilmente le persone cambiano, negli anni, e per quando ce ne rendiamo effettivamente conto spesso è troppo tardi per tornare indietro. Ma vale davvero la pena tornare indietro? Chissà se invece, andando avanti, le cose non possano prendere una strana piega…

Note dell’autrice: Ringrazio di cuore billaneve per la pazienza che ci mette ogni volta. I miei testi, come lei più volte mi urla dietro brandendo una scopa, sono sempre troppo pieni di “mentre” e troppo vuoti di virgole. Soprattutto quando scrivo la notte, e io scrivo sempre a notte fonda. Povera la mia beta!

Copyright: Lavoro appartenente a Nasreen aka Debora M. in ogni sua forma. Non sono ammesse citazioni e/o pubblicazioni per intero e/o parziale del lavoro in ogni sua forma.

Capitoli: – 2° – 3°

Per te

La festa era stata un vero fallimento pensò con rammarico Selvaggia seguendo il gruppo con ostentata rassegnazione. Gli altri parlottavano giulivi fra una birra e l’altra intanto che lei, nelle retrovie, contava gli attimi che la dividevano dalla sua agognata Peugeot, unico mezzo per porre fine a quell’orrenda serata e per sfuggire da quella patetica compagnia.

Sospirò amareggiata mentre schivava un’altra radice di quelle stupende querce secolari che, da qualche minuto, stavano minacciando caparbiamente al suo precario equilibrio.

Perché diavolo aveva indossato quelle maledette scarpe con il tacco quando era perfettamente consapevole di dove stesse andando? Ah, è vero: lei non aveva la minima idea di dove avessero intenzione di andare a passare quella serata!

Un urletto stridulo attirò la sua attenzione costringendola ad alzare la testa. La scena che le apparve davanti la fece rabbrividire di puro disgusto, attirando così l’attenzione di Stefano che stava parlando al telefono pochi passi dietro di lei.

Stefano, amabile nerd dal quoziente intellettivo superiore al 90% della popolazione italiana, le si avvicinò con la sua solita camminata indolente che affascinava e allo stesso tempo respingeva chiunque avesse l’intenzione di conoscerlo. Come attirare l’attenzione di una persona che mostrava quell’estremo disinteresse e malcelato disprezzo per il resto del mondo?

Impossibile.

Selvaggia riabbassò improvvisamente lo sguardo non appena si accorse che un’altra maledetta radice stava tentando di farla sfracellare a terra. Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio, gesto che la fece sorridere: la prontezza di riflessi non era certamente una carenza del ragazzo.

- Guarda dove metti i piedi o ti ammazzerai – gli disse gelido l’altro guardandola appena.

- Nessuno ti ha chiesto niente, vedi di tornartene al telefono, grazie.

Non era mai volutamente maleducata, sarcastica molto spesso, ma almeno non con Stefano dato che lo conosceva appena. Non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma, per quanto trovasse il suo atteggiamento irritante, non poteva che condividere buona parte dei suoi pensieri nei confronti del mondo. Oddio, da quando era diventata… così nerd?

Scosse la testa e tornò a camminare seguendo il gruppo che, come sempre, la ignorava inconsapevolmente continuando a cianciare di pettegolezzi più o meno piccanti. Deprimente. Questo le fece ricordare il problema principale: perché diavolo si era lasciata convincere a partecipare a quella stramaledetta festa? Ah, sì, per socializzare. Ridicolo. Come poteva socializzare con un branco di scimmie mononeuronali?

- Concordo appieno – disse secco l’altro lanciandole a mala pena un’occhiata e rinfilando la giacca che si era tolto pochi istanti prima. Effettivamente faceva fresco. Rabbrividì.

Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco che lo fece sogghignare: detestava quando rispondeva o si intrometteva nei suoi pensieri e quella sera, da quando li avevano formalmente presentati, non aveva fatto altro. Era inquietante!

- Dovresti smetterla, sai? Non mi piace che qualcuno si infili nella mia testa! – ribatté stizzita, di getto, prima di zittirsi mordendosi la lingua. Troppo tardi per ritrattare, aveva appena dato conferma a Stefano Minghetti che la stava inquietando firmando così la sua condanna a morte. Che stupida imbecille! Aveva visto quella sera come aveva velatamente, e doveva ammettere anche elegantemente, perseguitato chiunque avesse lasciato intendere che lo temeva. C’è da dire che la capacità di offendere di quel ragazzo era ragguardevole. Alla fine quelle oche delle amiche di Marica neanche si erano rese conto che le stava insultando, e con il sorriso sulle labbra per di più!

- Sono intelligente ma non possiedo nessun ESP, sai? Non sono certo neanche che esistano certe cose, quantomeno non ho mai avuto modo di raccogliere qualche prova incontrovertibile.

- Non fare lo sbruffone, per cortesia. Il fatto che io non abbia il tuo quoziente intellettivo non significa certo che il mio sia nullo. Usare parolone per spaventare e zittire l’interlocutore funziona, ma non con tutti. E comunque io credo nei poteri ESP, anche se non credo affatto che tu abbia un ESP. Spiacente – lo ammonì secca Selvaggia prima di riprendere a seguire il branco di australopitechi con cui era venuta.

Poche battute con l’amichetto sociopatico di Marica, l’adorabile festeggiata che non appena possibile gliel’avrebbe pagata cara, e li aveva persi di vista. Stupendo.

- Notevole – ribatté l’altro pacato continuando a fiancheggiarla mentre lei si ritrovava a maledire lui, la sua boria e l’idea del pic-nic di compleanno al chiaro di luna, per di più in mezzo alla boscaglia.

- Grazie – sputò velenosa consapevole di essere stata appena offesa.

Camminarono ancora un po’ in un silenzio interrotto solamente da qualche imprecazione sussurrata della ragazza ogni volta che finiva per inciampare o graffiarsi una gamba con qualche ramo. Imprecazioni che erano sempre seguite da uno strano sbuffo da parte dell’altro. Sbuffo? No, dopo la quarta volta Selvaggia fu certa che si trattasse di vere e proprie risatine di scherno. Stravano per saltarle i nervi, se lo sentiva, ma, per quanto le fosse possibile, non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione. Almeno sperava.

- Cazzo – imprecò ancora chinandosi a massaggiarsi il polpaccio ferito da una spina. Le piaceva la montagna ma non le piacevano le incursioni improvvisate, di notte e per di più con una pessima compagnia che se la rideva ogni volta che si faceva male. Quando aveva chiesto all’amica il genere della festa si era sentita rispondere “Comoda, mettiti comoda, nulla di formale”. Fanculo lei e la comodità! Poteva immaginare che la sua gonna jeans, camicetta e scarpe con il tacco non sarebbero stati assolutamente ottimali per una dannata passeggiata nel bosco? Inutile dire che tutte le altre ragazze si erano trovate come, se non peggio, di lei. Non che questo l’aiutasse minimamente. Lei non aveva un cavaliere accanto che la sorreggesse o la portasse in braccio. Come se fosse possibile farsi issare sulle spalle di qualcuno! Era più alta dei 2/3 dei presenti di sesso maschile! Okay, doveva smetterla di auto commiserarsi.

- Fatta male? – questa volta nella voce del suo accompagnatore vibrava una piccola nota di preoccupazione e solo in quel momento si rese conto di essere rimasta con il ginocchio a terra a perdersi nei suoi pensieri. Si leccò il dito che aveva appena sfregato sopra il taglietto, antigenico, certo, ma al momento era l’unica cosa che potesse fare, e se lo passò nuovamente sul polpaccio. Si tirò su tirando indietro i ricci che le erano scesi sul viso e riprese a camminare.

- Andiamo va. All’andata non mi ero resa conto che avevamo camminato così tanto. Forse ero troppo nervosa, o semplicemente ero meno stanca.

L’altro la raggiunse in due falcate e spostò con una mano una felce che avrebbe potuto graffiarla in viso.

- Sta attenta, ti ho detto. Non ho nessuna intenzione di portarti alla macchina in braccio – ripeté lui subito prima di zittirsi nuovamente e perdersi in chissà quale pensiero assurdo.

Selvaggia dovette rimangiarsi il commento sarcastico che le stava per scivolare fuori dall’anima e continuò imperterrita nella sua marcia. E che strazio!

Gli lanciò un’occhiata infastidita, piccata da quella perfezione all’apparenza così sensuale di Stefano. Era palesemente questo il motivo per cui Marica continuava a coinvolgerlo nella maggior parte delle uscite che organizzava, se non si considerava che era il fratello quasi trentenne del suo storico ragazzo.

Aveva sempre trovato utile la capacità di Marica di apparire completamente stupida quando la situazione lo richiedeva, anche se molto spesso la criticava per la sua capacità di sminuirsi pur di avere una bella compagnia di amici tutti fighetti. Il fatto che l’amica lasciasse che gli altri la credessero una sciocca o, peggio, la sfruttassero all’occorrenza, la innervosiva per metà del tempo e per l’altra metà lo trovava vantaggioso. In poche parole non sapeva se rispettarla per la sua furbizia o se compatirla per la sua mancanza di personalità.

Scosse il capo mestamente, forse era solo invidia; lei aveva quello che Selvaggia aveva sempre desiderato: degli amici su cui contare e con cui divertirsi. Non era sicura che Marica potesse davvero contare sulla maggior parte di loro, ma almeno manteneva l’illusione ed era felice. Che poteva fare lei se non raccogliere i cocci?

Stavolta a inciampare fu Stefano e, mentre si aggrappava a lei per non finire per terra, Selvaggia ammirò il self control di quel ragazzo. Era impressionante la velocità con cui, risistematosi i capelli e la giacca, aveva ripreso a camminare.

Rimasta leggermente indietro si sentì dire: – Allora? Ti sei imbambolata?

- Oh, certo, come no – soffiò esasperata lei riprendendo a camminare aggirando la buca con eleganza. Un goffo in famiglia bastava e, ringraziando il Signore, non era lei.

- Giuro che l’ammazzo – ringhiò la ragazza agitando la torcia a mo’ di bastone.

Aveva resistito tutta la sera ma non ce la faceva più. Odiava il silenzio e odiava tutta la serata che era appena passata, doveva sfogarsi. Che Stefano pensasse pure che fosse schizofrenica, per quello che le fregava!

- Chi? – si sentì chiedere all’improvviso dopo un paio di minuti di silenzio.

- “Chi” cosa? – rispose lei, spiazzata dalla domanda.

L’altro ridacchiò come se stesse parlando con una stupida: – Chi ammazzerai?

- Ah! – ribatté lei rimangiandosi la rispostaccia – Ammazzerò la tua stramaledetta futura cognata, siine consapevole e preparati al funerale. Accidenti a lei!

In tutta risposta l’altro scoppiò a ridere facendola inchiodare sul posto sbalordita. Stefano Minghetti sapeva ridere?

- Oh bene, sapevo che ci doveva essere qualcosa di folle in te – rispose stizzita ma convinta a quella risata inusuale.

- “Siine”? – singhiozzò il ragazzo battendosi una mano sulla fronte – No, davvero, Lunghini, hai appena detto “siine”!

- Ehm… – mormorò lei in preda all’incertezza. Aveva sbagliato coniugazione? Che c’era di divertente? Che diavolo si era bevuto quello?

- Si…? Perché la cosa ti sconvolge? Sai, è italiano, hai presente quella cosa che si può apprendere al meglio aprendo un vocabolario ogni tanto?

- Sì, grazie, so perfettamente cosa sia un vocabolario, devo ricordarti con chi stai parlando? – rispose inaspettatamente sgarbato l’altro tornando serio. Selvaggia era palesemente confusa, era abituata alle frecciatine che lanciava agli altri (e da quella sera evidentemente anche a lei), alle battute sagaci, alle argomentazioni saccenti e sempre apparentemente cortesi, ma mai a quel tono offensivo.

- Montato – ribatté lei aggressiva.

- L’ira e l’aggressività sono sinonimo di passionalità ma anche d’insicurezza. Nonostante il tuo cervello, di cui tanto ti vanti, non arriverai da nessuna parte se non acquisti un po’ di freddezza, non lo sai? – la redarguì lui seccato riprendendo a camminare.

Selvaggia spalancò gli occhi di fronte a quella manifestazione di superbia così sfacciata. Il fatto che avesse qualche problema d’insicurezza erano dannati affari suoi, ammesso che fosse vero, e lui non era nessuno per giudicare né tantomeno dare consigli. Perché non l’aveva ancora preso a calci in culo? Ah, non aveva intenzione di dargli la soddisfazione di vedere che aveva ragione. Allora perché le prudevano le mani in quella maniera? Lei era una persona tendenzialmente ragionevole, almeno alcune volte, e di certo dava sempre ragione e ascolto al suo cervello!

- Signore dammi la pazienza… – borbottò e questa volta fu certa che l’altro non l’avesse sentita visto che era di parecchi passi avanti a lei.

- Comunque era un complimento e non un’offesa, come certamente l’avrai interpretato – iniziò lui dopo cinque lunghi minuti di camminata. Ormai erano prossimi alle macchine, avevano entrambi riconosciuto lo spiazzo dove si erano fermati inizialmente, prima che qualcuno se ne uscisse con l’idea della cima, della bella vista e del fantastico clima. Un qualcuno che, al momento, stava sicuramente accumulando tanti di quegli accidenti che avrebbe fatto bene a chiudersi a casa almeno un mese per smaltirli tutti.

- Di quale delle tante offese parli? – rispose vaga lei.

- Smettila – sbuffò Stefano sventolando una mano pallida. Selvaggia fissò nuovamente quella mano che poco prima, quando si era agganciata al suo gomito per evitare di cadere, l’aveva colpita.

Era nervosa, pallida, grande e forte. Attraverso gli abiti non poteva dirlo ma di certo era anche morbida, dopotutto era un intellettuale.

- Ti sei incantata, di nuovo – costatò lui rimanendo serio e la ragazza poté quasi sentire una punta di biasimo nella voce.

- No, non mi sono incantata. Comunque tornando al problema primario che sembra assillarti ti dirò… Non è importante. Complimento? Offesa? Che differenza può mai avere detto dalla bocca di una persona che riesce ad offendere il prossimo proprio con un complimento?

- Te ne sei accorta, eh? – ridacchiò alludendo alle frecciatine lanciate durante la cena alle altre ragazze. Perché non aveva continuato a ignorarla? Si domandò melodrammatica.

- Per quanto mi dispiaccia distruggere il tuo piccolo castello di carte devo dire che sì, me ne sono accorta. Come se ne accorgerebbe qualunque persona in possesso di facoltà cerebrali minime, francamente.

- Ciò denota che la tua capacità di offendere non è neanche lontanamente all’altezza della mia. Con una frase hai palesemente offeso me e le tue amiche, manchi un po’ di eleganza sai? Non è un po’ ipocrita da parte tua?

Stavolta fu il turno di Selvaggia di scoppiare a ridere in faccia al ragazzo che la fissò leggermente infastidito.

- Stefano, giusto? – lo rimbeccò con noncuranza benché sapesse perfettamente il suo nome – Credi davvero che quelle ragazze siano mie amiche? E credi davvero che io abbia il men che minimo interesse a mascherare le mie offese e le mie critiche sotto forma di complimenti? No, grazie. Se devo dirti che sei uno sbruffone montato te lo dico. E sai perché? Se tu fossi stupido non capiresti comunque l’offesa nascosta dietro un falso complimento ma, al massimo, lo capirebbero gli altri rendendo me meschina. Se, invece, tu non fossi stupido capiresti benissimo il mio tentativo di prenderti in giro e mi risponderesti a tono, vanificando il mio intendo.

L’altro si fermò di botto e la fissò sgomento ed irritato.

- Fammi capire… Mi stai dando dello sbruffone, del montato e anche del meschino?

- Esatto.

- E questo non è essere spacconi? – la rimbeccò lui sogghignando ed incrociando le braccia al petto con aria saputa.

Selvaggia, da parte sua, si limitò a sorridere sarcasticamente e, stranamente, a gioire dello sguardo rapito dell’altro.

- Partendo dalla premessa che io so perfettamente di essere arrogante, posso dire che no, non credo di essere stata in questo caso una spaccona. Me ne sono stata tutta la sera per conto mio, non ti ho rivolto parola e non mi interessava farlo. Tu, ti sei avvicinato a me. Tu, hai iniziato a punzecchiarmi e sempre tu hai tentato in tutti i modi di intimidirmi nel tentativo… non saprei, di dimostrarmi che sei migliore? Non serve, sai? So perfettamente che sei cerebralmente migliore di me – sottolineò lei cercando di imprimere tutto il suo scetticismo in proposito all’assurda convinzione che l’essere più intelligente renda in assoluto una persona migliore di un’altra. Il fatto che abbia un pessimo carattere, a suo avviso, lo sminuiva.

Stefano assottigliò lo sguardo conscio della critica implicita e Selvaggia si perse un attimo nella profondità di quegli occhi scuri che, alla luce della luna, sembravano brillare di luce propria.

- Il tuo stare sulle tue potrebbe anche essere inteso come l’atteggiamento di chi si crede troppo superiore per condividere qualche parola con qualcuno…

- Disse colui che per dir due parole in croce si fece pagare in cambiali! – finì lei seccata al massimo. Non le piaceva per niente essere giudicata. Il suo unico intento era stato di far felice Marica, essere presente al suo ventiduesimo compleanno e tornarsene a casa il più presto possibile. Il concetto “più presto possibile” era sfumato quasi immediatamente ma per il resto aveva tentato di mantenere fede al piano originale.

- Parlare con te è impossibile! – si lamentò lui alzando le braccia al cielo – Sei così sulla difensiva che vedi offese anche quando non ci sono, maledizione!

Selvaggia si zittì, non l’aveva mai visto perdere la pazienza. Lei era riuscita a farlo infuriare! Fantastico!

- L’ira e l’aggressività sono sinonimo di passionalità ma anche d’insicurezza. Nonostante il tuo cervello, di cui tanto ti vanti, non arriverai da nessuna parte se non acquisti un po’ di freddezza, non lo sai? – gli fece il verso soddisfatta incrociando le braccia al petto.

- Ora stai facendo la stupida, e io non parlo con le stupide – le disse Stefano fissandola freddamente prima di voltarsi e riprendere a camminare verso le macchine che oramai si vedevano in fondo alla strada.

Selvaggia, da parte sua, si limitò a scrollare le spalle e a incamminarsi verso la sua macchina ignorando le battutine degli altri su eventuali scopate al chiaro di luna dalle quali sarebbero entrambi reduci.

“Mio Dio” pensò “Che mancanza di classe…”

Mise in moto e, dopo aver salutato tutti, se ne andò verso casa ignorando la strana sensazione di vuoto che le stava stringendo lo stomaco.

Continua…


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