Magazine Diario personale

Per un piatto di lenticchie

Creato il 12 gennaio 2013 da Povna @povna

La ‘povna Servizio pubblico (la mancanza del link alla puntata è voluta, e resa esplicita) non voleva vederlo. Perché – fatta salva una prima prova (che lei concede a tutti) – non è spettatrice di Santoro da più di dieci anni (erano i tempi del Raggio verde), non ha mai stimato il Travaglio “giornalista d’assalto”, non lo segue, non lo apprezza; e (sempre con l’eccezione della prima volta) non legge (e non compra) Il Fatto quotidiano.
Alla fine però, è consapevole che intorno a lei si muove il mondo; e dunque, se pure in sotto fondo, si è rassegnata a doverselo ingoiare.
Quello che ha visto, è stato (in larga parte) noia. E poi una conferma – il fatto cioè che il cosiddetto “editto bulgaro” sia stato una iattura per il giornalismo, perché ha trasformato un professionista medio (che sbancava gli ascolti soprattutto grazie a una capo-redazione di supporto) in un martire, con ciò conferendogli un auto-proclamato diritto, una volta ristabilito al suo posto, a far quel che gli pare. La stessa cosa si può dire di Travaglio, che scrive i suoi best-sellers tutti sul medesimo format (stralci di sentenze deprivate del contesto, ricucite con sicumera in una prosa saccente) – e per dire questo basta leggere, non certo chiamarsi Berlusconi.
La puntata si è trascinata, sonnacchiosa, per i suoi due terzi: una cerimonia annunciata, condotta su siparietti ipocriti; che, già nella loro struttura portante, erano pensati per creare happening, non certo politico approfondimento (e neppure, nei fatti, opposizione a Berlusconi). Tutto questo, fino al momento della famigerata lettera. Quando – al termine dei due comizi (condotti in stile solito) dall’ex-montanelliano giornalista – Berlusconi va alla cattedra, e legge la sua risposta a Travaglio.
Una lettera con alcuni lampi di genio innegabili (“Travaglio, io sono il suo core-business“), ma anche molta melina in legalese stretto, letta in maniera poco espressiva, e francamente ammorbante. Poteva finire così, con un declino a picco degli ascolti. Spettatori assopiti, e più o meno soddisfatti, e tutti a casa.
Invece no. Per il protagonismo di Santoro non è ovviamente tollerabile. Anche perché è abbastanza furbo da comprendere che la sua sorte è legata, a doppio taglio, alla sparizione di Berlusconi dalla scena della narrazione pubblica. Così, l’uomo discriminato, il pasdaran della cultura contro, profeta dell’estrema sinistra – in diretta lo si vede molto bene – fa i suoi calcoli. E poi interviene a muso duro (mentre lo stesso Travaglio lo invita a lasciar perdere), protesta, attacca, invoca lo share, la butta in vacca. Riuscendo, di fronte alla protervia querula del suo timore di non avere pubblico, a far sembrare un gigante lo stesso (fino ad allora abbastanza) dimesso, annaspante, invecchiato Berlusconi.
Finisce in gloria per l’ex Presidente del Consiglio, la puntata di Servizio Pubblico. “Spengo. Ché se continua così finisco col votarlo” – commenta un amico della ‘povna dal canale telematico. Lei, dal canto suo, non può dire che non se lo aspettasse. Anche se forse non credeva che Santoro sarebbe stato disposto così, senza nemmeno un “bah”, a perdere la faccia, per un piatto di lenticchie, in modo tanto esplicito.
Comunque, una cosa è certa. Se qualcuno tra i suoi numerosi conoscenti sedicenti “progressisti” osa ancora parlare della “bravura”, della “militanza”, dell’”innegabile capacità politica” – di Santoro, così come di Travaglio; o della “necessità” che in Italia si dia voce a trasmissioni come Servizio pubblico, la ‘povna, che la parzialità della loro imperizia, viceversa, la denuncia da tempo immemorabile, gli mangia il cuore crudo.


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