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Per una Banana Dolce perse le staffe

Creato il 28 marzo 2012 da Laibi
Vi giuro che appena ho letto la notizia sono stata preda di risate compulsive. Non l'hanno presa  così sportivamente  Stefano Dolce e Domenico Gabbana. La coppia di stilisti ha infatti citato in giudizio presso l'alta corte del Capo Occidentale, la 60enne Mijou Beller, proprietaria di un negozio di gioielli e monili tribali in Sudafrica. L'accusa è di aver utilizzato impropriamente il marchio Dolce&Gabbana, facendosene beffa: questo perchè l'elegante signora ha pensato bene di chiamare il proprio gift shop "Dolce&Banana".

Per una Banana Dolce perse le staffe

Una vecchia insegna del giftshop di Cape Town, oggi rinominato "...&Banana"


I fatti risalgono allo scorso Gennaio, quando, scoperto lo scherzoso plagio, i legali degli stilisti hanno convocato la proprietaria di fronte al giudice, obbligandola all'immediata modifica del marchio. Cosa che la signora ha prontamente effettuato, cambiando l'insegna in "...& Banana". Basta poco che ce vò? Tuttavia, le scaramucce legali sembra fossero iniziate già 6 anni fa, quando il marchio sinonimo del glamour Made in Italy nel mondo, si era già pronunciato contro la Beller, che d'altro canto, aveva risposto tramite il suo legale, specificando che Dolce&Gabbana non aveva alcun marchio registrato nel settore della gioielleria e che comunque non esisteva nessun negozio Dolce&Gabbana  in Sudafrica.

Per una Banana Dolce perse le staffe

La proprietaria Mijou Beller all'interno del suo negozio (via iol.co.za.com)


Nonostante la vicenda, la signora, di origini francesi ma residente in Sudafrica da diversi anni, ha dichiarato che le sue intenzioni non erano affatto diffamatorie: la scelta del nome sembra fosse nata dall'intento di inventare "un nome glamorous con un tocco africano". E oltre alla sconfitta, la beffa: la compagnia pretende, infatti, che sia la stessa Beller a pagare le spese legali, per una cifra di 100.000 rand, pari a quasi 10.000 euro, una cifra irrisoria per un gruppo che ha un fatturato di 1.120 milioni di euro, ma non certo per una proprietaria di un giftshop.
E qui scatta la polemica, per una piccola imprenditrice che non ha le risorse economiche necessarie per affrontare una spesa simile. Al di là del mio evidente divertimento circa la notizia, resta tuttavia una considerazione seria da fare: la contraffazione di un marchio è effettivamente un reato e va perseguito, ma fin dove può spingersi il diritto che si può avanzare circa un marchio registrato? Non sono affatto pratica di procedure legali, tuttavia non posso fare a meno di notare una accanimento eccessivo verso una piccola imprenditrice, un pò come uno squalo tigre che se la prende con il pesciolino rosso. Non bastava semplicemente aver vinto la causa? E per quelli che pensano che la proprietaria di un piccolo negozio del Sudafrica sia l'ultima delle "furbette del quartierino", vi rimando al suo negozio online su Etsy, che vanta una serie di gioielli di gusto tribale, realizzati in materiali naturali e da artigiani del posto, a costi abbastanza contenuti. Roba che se mi fossi trovata in vacanza lì, li avrei acquistati ad occhi chiusi, a prescindere dal nome (che comunque continuo a trovare spassosissimo!).
Di tutta questa vicenda, non resta altro che la perplessità per un brand decisamente troppo giustizialista e un commento in particolare... questo
Per una Banana Dolce perse le staffe
...anche io penso che Dolce&Banana sia un nome perfetto per una gelateria!
UPDATE: D di Repubblica arriva dopo il puparuolo! http://d.repubblica.it/argomenti/2012/04/02/foto/dolce_e_gabbana_causa-939694/1/#media

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