26 gennaio 2016 di Vincenzo D'Aurelio
Alla memoria dell’amico Fernando Guida
La Cultura è indubbiamente lo strumento al quale fare affidamento per tentare di risolvere le annali e multiformi problematiche che affliggono il nostro Paese. In linea di principio, l’idea è certamente valida e vincente ma, nel concreto, è difficile comprendere il metodo che l’Italia intende adottare per avviare una politica volta a creare nel cittadino una sana sensibilità verso la cultura. Alla stessa, comunque, inneggia il Governo ma, se da un lato la esalta come una sorta di ricchezza petrolifera del Paese, dall’altra la lascia scadere in mera e sterile propaganda col risultato che quest’ultima prevale sempre. Non meritano attenzione, inoltre, coloro che, mossi da una crassa ignoranza, ritengono gli investimenti in cultura solo un centro di costo per la finanza pubblica perché, proprio per l’immaterialità della sua natura, è incapace di generare autonomamente un valore economico. Queste, sono le stesse persone, molte delle quali sfortunatamente rappresentano la nostra democrazia, che assoggettano la produzione di cultura ai modelli della produzione industriale dove il margine di ricarico è un valore economico tangibile e non, invece, un indicatore che segna positivamente, loro malgrado, il progresso sociale. Nella realtà delle cose, pertanto, a fronte degli slogan pro-cultura esibiti a destra e manca, non vi sono, invece, proposte che abbiano quel carattere di concretezza utile alla pianificazione strategica e alla valutazione della probabilità di raggiungere nel medio-lungo periodo, perché il prodotto della cultura non è fisiologicamente ottenibile nel breve, degli obiettivi prefissati. È dunque una politica vaneggiatrice che nel costruire progetti di rilancio culturale resta, in realtà, sospesa tra provvedimenti tampone, finanziamenti una tantum, visioni miracolistiche, manifestazioni festaiole e coscienze svuotate di ogni valore civile e umano.
La crisi sociale che a diversi livelli e per differenti gradi di percettibilità ha impattato e continua a caratterizzare tutte le generazioni dell’ultimo trentennio, è il risultato di un processo, voluto, che ha quasi azzerato la volontà, ma soprattutto la capacità, di promuovere la cultura per fare sviluppo tenendo presente che quest’ultimo, come scritto nel primo punto del Manifesto per la Cultura lanciato nel 2012 dalla “Domenica del Sole 24 Ore”, «[Non deve intendersi] come una nozione meramente economicistica ma come la capacità di valorizzare i saperi e di guidare il cambiamento». Proprio il cambiamento, difatti, avviene soprattutto attraverso un processo culturale che deve essere primariamente volto alla costruzione di una coscienza comune fondata sul principio della legalità e della responsabilità; una responsabilità, è bene sottolineare, che tragga alimento dalla consapevolezza di quanto il nostro quotidiano agire possa influire nell’immediato futuro e di quanto le nostre azioni possano vessare o accomodare la vita delle generazioni che verranno.
Oggi il mondo della cultura, malgrado gli sforzi, soccombe all’inerzia di una società che si mostra sempre più legata alle regole, al limite della legalità o proprio illegali, del vantaggio personale e ciò è una vera e propria sorta di appiattimento della coscienza sociale che induce a creare uno stato diffuso di disillusione dove la meritocrazia appare come una chimera e dove per il raggiungimento di un obiettivo bisogna vendere al “potente di turno” i propri diritti, anche quelli inviolabili. È questo il motivo per il quale l’Italia, se vuol rilanciare la “Cultura” in senso stretto, deve proprio iniziare a investire nella formazione intellettuale dei cittadini partendo dal principio dell’operare innanzitutto nella giustizia, sia in quella garantista e sia in quella sanzionatoria, e di farlo proficuamente sia per il bene del proprio Paese e sia per il futuro delle nuove generazioni. Il Governo non deve pensare alla cultura come un investimento importante ma costoso, di breve periodo e dai risultati incerti perché essa, in qualunque epoca e in ogni società, ha sempre prodotto ottimi effetti e, per di più, di lunga durata.