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Per una teoria del “Piano Marshall per gli immigrati” – II: l’intervento esterno

Creato il 14 settembre 2015 da Sviluppofelice @sviluppofelice

immigratil’articolo 7-9-2015 di Cosimo Perrotta

(la prima parte, sull’intervento all’interno, è apparsa il 13 luglio)

Le terribili tragedie dei migranti di questa estate ci dicono che niente li può fermare, e che l’unico rimedio è di intervenire all’origine, nei paesi da cui partono. Solo lo sviluppo di questi paesi può rallentare i flussi, organizzando un “Piano Marshall” che giovi sia a loro che ai paesi donatori.

È già stata fatta un’obiezione ovvia: in questi paesi ci sono spesso dittature sanguinarie, che verrebbero sostenute dal nostro aiuto, o che non lo accetterebbero. E’ vero, ma quasi sempre è stato l’Occidente a provocare questa situazione. Tuttora sono quasi sempre di origine occidentale le compagnie petrolifere, di diamanti, oro e altri minerali preziosi; i trafficanti d’armi (spesso di aziende pubbliche, come in Italia); gli aiuti dati per motivi politici, senza controllo dei risultati economici; interventi militari disastrosi; prestiti con interessi iugulatori; monocoltura totale o parziale, imposta attraverso il commercio; deforestazione selvaggia e stragi di specie animali protette; dumping dei nostri prodotti agricoli (con i soldi dello stato), che rovina le imprese locali; scempio del loro territorio per scaricare i nostri rifiuti tossici. Queste “politiche” si basano sull’alleanza tra Occidente ed élite corrotte locali.

Bisogna quindi cambiare radicalmente la politica estera europea: vietare l’esportazione delle armi; togliere denaro e potere alle élite corrotte; moderare lo sfruttamento minerario e del petrolio; scoraggiare la monocoltura e il dumping, attraverso tariffe commerciali; risanare il debito di quei paesi e moderare gli interessi sui prestiti; e soprattutto controllare la gestione dei prestiti e degli aiuti in senso produttivo.

 

Solo questo consentirà a quei paesi di intraprendere un percorso di sviluppo e di democrazia. Ciò vuol dire che la lotta per lo sviluppo dei paesi poveri comincia in Occidente, contro le forze rapaci che oggi dominano le nostre politiche. Esse perpetuano in tanti modi il vecchio sfruttamento coloniale e post-coloniale.

Allo stesso tempo bisogna potenziare enormemente l’aiuto, controllato, per lo sviluppo. L’Europa non si è mai nemmeno avvicinata all’obbiettivo – pur così modesto – proposto dall’ONU di destinare l’1% del proprio reddito all’aiuto al terzo mondo. Non è vero, come affermano gli ultra-liberisti, che l’aiuto nuoce di per sé allo sviluppo, perché incoraggia il parassitismo. È la connivenza tra Occidente e classi dominanti corrotte che crea il parassitismo.

La leggenda che lo sviluppo sia frutto solo del mercato è smentita dalla storia. Tutte le fasi importanti dello sviluppo occidentale sono state promosse o sostenute da potenti politiche di stato, con investimenti diretti e finanziamenti, esenzioni e facilitazioni, creazione di infrastrutture e di scuole, ricerca, assistenza ai disoccupati, ecc. (il tutto grazie anche alle ricchezze sottratte al terzo mondo). Perché oggi dovremmo pretendere che i paesi poveri – per di più, dopo secoli di sfruttamento – ce la facciano da soli, senza aiuti?

Un’altra leggenda, quella dell’austerity, dice che l’Europa non ha le risorse per l’aiuto ai paesi poveri. È esattamente il contrario. Il male economico attuale dell’Europa è l’eccesso di capitali che non si sa come impiegare produttivamente. Perciò essi intasano il mercato con prodotti tradizionali e ripetitivi, che diventano inutili e restano invenduti, rovinando molte imprese e creando disoccupazione; oppure vanno a gonfiare la speculazione finanziaria, che va alla caccia di paesi deboli da far fallire.

Se quei capitali fossero impiegati per lo sviluppo dei paesi poveri essi ritroverebbero un impiego produttivo; cioè tale che renda dei profitti e crei occupazione sia in quei paesi che per i milioni di disoccupati europei. Infatti, salvo nelle emergenze, l’aiuto più importante non è quello in prodotti (che di solito è fatto degli scarti delle imprese occidentali) ma quello che mette in grado quei paesi di produrre loro i beni per il consumo e l’esportazione.

L’Europa potrebbe impiegare moltissimi dei suoi attuali disoccupati o precari nell’istruzione -generale, tecnica e scientifica in quei paesi; e nell’insegnare le tecniche di coltivazione, di costruzione, canalizzazione; le tecniche di cura e prevenzione sanitaria; di organizzazione turistica; nell’alfabetizzazione informatica; la creazione di reti amministrative; l’elaborazione di normative e di leggi; l’apprendimento di contabilità e management; della lotta alla corruzione; della protezione ambientale; ecc.

La base di tutto, dunque, è l’istruzione a tutti i livelli. Mano a mano che si vanno formando i quadri potenziali dei vari mestieri e professioni e della pubblica amministrazione, bisogna avviare politiche di credito garantito a bassissimo interesse perché si facciano gli investimenti, pubblici o privati, che daranno lavoro ai nuovi specializzati.

Solo in questo quadro possono funzionare i corridoi umanitari. Essi devono selezionare gli aspiranti all’emigrazione già nel paese di partenza; e permettere un viaggio protetto verso l’Europa, che eviti le stragi disumane e le condizioni di schiavitù e di violenza di oggi.


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